Cè un denominatore comune nelle due vertenze che vedono contrapposti il governo e la decisione, delle rispettive proprietà, di mettere i sigilli sulle linee produttive di due impianti in Italia. A unire i casi Fiat (per Termini Imerese, in Sicilia) e Alcoa (per le sue due fabbriche nel Veneto e in Sardegna) è la volontà del governo di evitare la perdita di importanti poli industriali con conseguenze pesanti sulloccupazione. Ecco allora, nel giorno del tavolo al ministero dello Sviluppo economico sul destino di Termini Imerese, scendere direttamente in campo il premier Silvio Berlusconi. Il capo del governo, con una lettera, ha ufficialmente invitato il presidente e amministratore delegato di Alcoa, Klaus Kleinfeld, «a conservare lattività produttiva della multinazionale negli impianti e a non assumere decisioni al riguardo prima che la Commissione Ue abbia proceduto allesame del provvedimento (Bruxelles ha chiesto indietro circa 270 milioni, considerati aiuti di Stato, ndr), atteso entro il prossimo febbraio». In serata Alcoa ha fatto sapere che risponderà privatamente alla lettera ricevuta dal presidente del Consiglio. E la società reputa «costruttive» le proposte del governo italiano.
Berlusconi ha messo in guardia il numero uno del gruppo americano produttore di alluminio, e che dà lavoro a 2mila persone, dal rischio di causare «gravi crisi sociali in aree disagiate del Paese», con ripercussioni nei rapporti tra il governo e la stessa multinazionale. Al centro della vicenda ci sono i costi elevati dellelettricità per le aziende energivore di Sardegna e Sicilia che un decreto ad hoc di Palazzo Chigi puntava ad abbattere, ma che ha trovato un ostacolo nella Commissione Ue. Alcoa, però, ha annunciato ugualmente di voler chiudere i siti di Fusina (Venezia) e Portovesme (Carbonia-Iglesias) entro il 6 febbraio. La pressione di Berlusconi ha comunque aperto uno spiraglio: martedì prossimo i diretti interessati faranno il punto a Roma. E se il premier è intervenuto direttamente sulla multinazionale americana, fornitrice anche della Ferrari, ieri il ministro Claudio Scajola è riuscito a riannodare le fila su Termini Imerese tra governo, Fiat e parti sociali. Il nuovo appuntamento, scremate nei prossimi giorni le proposte di rilancio del polo palermitano, è fissato per il 5 febbraio.
«La riannodata fiducia dei rapporti - ha commentato Scajola - tiene presente la volontà che cresca la produzione di Fiat in Italia, in modo sensibile e con la tenuta dei livelli occupazionali». Il ministro non ha mancato di rilevare come il Lingotto sia un pilastro industriale del Paese, ma anche come il sistema industriale italiano non possa perdere pezzi per strada. Intanto, per larea di Termini Imerese sono giunte sul tavolo della task force del ministero almeno sei-sette proposte che dovranno essere valutate attentamente anche con la Fiat. Tra queste, quella del fondo Cape Natixis di Simone Cimino per la realizzazione di una vettura elettrica a ricarica solare e quella di un fondo cinese a cui si sarebbe aggiunta lofferta dellimprenditore Gian Mario Rossignolo, già protagonista delle operazioni Pininfarina e de Tomaso. Sulle altre, invece, non sono trapelate indiscrezioni (tra le ipotesi circola anche quella di Ikea). Scajola ha comunque apprezzato la volontà del Lingotto di collaborare a trovare una soluzione che consenta al polo siciliano di continuare a produrre, seppur non veicoli del gruppo Fiat. Torino ha anche confermato la disponibilità a mettere a disposizione lo stabilimento.
«Credo che il clima sia ora più disteso - ha commentato Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl - e spero che venerdì prenda corpo qualcosa che faccia vivere Termini Imerese, che mantenga loccupazione e garantisca le famiglie. Un qualcosa che abbia attinenza con lauto». Anche il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, auspica che in Sicilia si continui a produrre vetture: «Il problema è capire con chi», ha detto al termine del vertice. Meno rigido è anche latteggiamento del governatore siciliano Raffaele Lombardo: «Ci sono varie proposte sul tavolo e le esamineremo il 5 febbraio». Sono intanto scesi dal tetto della fabbrica di Termini i 13 operai della Delivery email, azienda dellindotto Fiat, che per 11 giorni hanno protestato.
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