Il governo disarma esercito e missioni all’estero

Una risoluzione della maggioranza approvata al Senato con il Dpef ipoteca il finanziamento dei nostri interventi umanitari e dell’industria militare italiana

Il governo disarma esercito e missioni all’estero

da Milano

Addio missioni all’estero, addio a forze armate decentemente equipaggiate, via allo smantellamento della industria aerospaziale e della difesa, in particolare Finmeccanica, e stop alla quotazione di Fincantieri. Queste le conseguenze della risoluzione legata al Dpef, documento di programmazione economica, che l’estrema sinistra è riuscita a far passare al Senato. Si può solo sperare che la prossima settimana la Camera ci metta una pezza.
La risoluzione, approvata dal Senato con 159 voti favorevoli, 147 contrari e 1 astenuto, presentata dai senatori Finocchiaro, Russo Spena, Salvi, Palermi, Peterlini, Formisano, Barbato e Ripamonti contiene infatti una serie di disposizioni micidiali. Nel capitolo dedicato alle politiche per la crescita sostenibile, al numero 11, si legge che tutte le risorse e gli investimenti del comparto Difesa, inclusi gli stanziamenti relativi alla componente militare delle missioni internazionali, debbono essere inseriti nel Bilancio della Difesa. Il rischio concreto è che i soldi per le missioni fino ad oggi approvati con provvedimenti ad hoc, tra 1 e 1,2 miliardi all’anno, si trasformino in una componente di un bilancio che è per tradizione vulnerabile alle riduzioni e ai tagli. Proprio per questo si era fatto ricorso a fondi separati. E questo i proponenti lo sanno perfettamente.
Non solo. Il bilancio difesa oggi è talmente anemico da non poter sostenere il normale ammodernamento di mezzi e materiali, né di finanziare attività di ricerca e sviluppo. È per questo che per integrarlo, sia pure parzialmente, si utilizzano mutui concessi dal ministero dell’Economia, soldi del ministero dello Sviluppo economico, del ministero delle Università, persino del ministero delle Infrastrutture o del Dipartimento della protezione civile. Queste risorse dovrebbero invece confluire nel bilancio difesa, diventando così incerti e soggetti a riduzioni. E non basta. La risoluzione intima che il processo di ristrutturazione e miglioramento dell’efficienza delle strutture di supporto industriale e della difesa e gli investimenti nei settori a elevato tasso di innovazione tecnologica non configurino in alcun modo un incremento della spesa per armamenti. Questo vuol dire non solo compromettere le capacità militari nazionali, ma anche affossare l’industria aerospaziale e della difesa ad alta tecnologia, cioè Finmeccanica e tutte le altre società, grandi, piccole e medie che beneficiano di finanziamenti per ricerca, industrializzazione e in qualche caso per acquisizione previsti da leggi speciali e da stanziamenti extra difesa. Si pensi ad esempio a strumenti come la legge 808.
Ed è proprio l’industria alla difesa a essere nel mirino, perché la risoluzione dice che il governo deve prevedere norme a sostegno della riconversione dell’industria militare al civile. Questo è un vecchio e fallimentare cavallo di battaglia della sinistra massimalista che, se realizzato, metterebbe in ginocchio uno dei pochi settori industriali ad alta tecnologia nel quale l’Italia vanta una eccellenza internazionale.
Sempre con lo strumento della risoluzione si vuole bloccare la privatizzazione e il rilancio del gruppo cantieristico Fincantieri, al quale la sinistra estrema si oppone nonostante il governo abbia deciso altrimenti.

La risoluzione infatti impone al governo di condizionare il via libera alla quotazione in borsa del 49% del capitale della società alla presentazione di un piano industriale (evidentemente quello già presentato da Fincantieri non è considerato tale) che dovrà essere “condiviso” con i sindacati e che comunque deve limitare la crescita internazionale e impedire qualunque frammentazione. Una mossa celebrata con giubilo dalla Fiom/Cgil, la quale sottolinea come questo processo sia completamente diverso da quello approvato dal governo.

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