Il governo fa il pieno: 165 sì al decreto

L’Aula approva la fiducia sul testo. Scontri tra manifestanti e forze dell’ordine vicino a Palazzo Madama. Il leghista Bricolo: "Perdiamo consensi ma non potevamo lasciare il Paese in mano alla sinistra"

Il governo fa il pieno: 165 sì al decreto

Roma - L’ultimatum del Colle e il furibondo pressing dei mercati hanno sbloccato l’impasse. Dopo settimane di incertezze, litigi, annunci, smentite e tira e molla dentro la maggioranza è arrivata l’accelerazione precipitosa, e ieri il maxi-emendamento che cambia drasticamente - per l’ennesima volta - la manovra di Ferragosto ha ottenuto il primo via libera dal Senato. In un Palazzo assediato da sassaiole, petardi, fumogeni e cariche della Polizia.
Nessuna sorpresa nel voto, neppure il senatore Beppe Pisanu, tornato ieri mattina sugli scudi dell’opposizione per la sua nuova intervista anti-Cavaliere (e pro-governo tecnico) offre un brivido agli spettatori: si presenta a sera al Senato e vota sì alla fiducia. Così, paradossalmente, il centrodestra fa il pieno dei voti nel suo momento di massima difficoltà: 165 favorevoli, 141 contrari e tre astenuti.
Ieri, di buon mattino, il governo ha chiesto nell’aula di Palazzo Madama il voto di fiducia. Rituali indignazioni dell’opposizione, rituali repliche acide della maggioranza: il copione era già scritto, e tutti a destra come a sinistra sono consapevoli della necessità di fare in fretta. E così, mentre fuori scoppiavano incidenti per una manifestazione di protesta di sindacati e sinistra extraparlamentare (severamente condannati da Renato Schifani: «La violenza è contraria alla democrazia») dentro si dipanava un dibattito un po’ stanco e scontato, tanto che il presidente Schifani deve spesso richiamare senatori e ministri che chiacchieravano disturbando gli oratori. Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl, avverte: «Non consegneremo l’Italia a un governo eterodiretto da qualche banchiere che ha messo a rischio i soldi dei risparmiatori italiani!». Il Pd Luigi Zanda invece evoca Mino Martinazzoli: «Il timone è in mano al cuoco di bordo: senatori, cacciamo il cuoco!», è la citazione che rilancia nella rossa aula ovattata di Palazzo Madama. Scroscio di applausi da tutte le opposizioni (ma anche qualche Pdl batte le mani). Sconsolata la dichiarazione di voto del capogruppo leghista Federico Bricolo, che giustifica così il sì del Carroccio: «Siamo chiamati ad approvare una manovra certi che non ci farà guadagnare consensi, ma non potevamo lasciare alla sinistra o a un governo tecnico il compito di risanare i conti del paese». Il Pd si accanisce contro il famigerato articolo 8: «Crea le condizioni di rapporti sociali più difficili. Serve questo all’Italia, serve alla politica?», si chiede Franco Marini. La capogruppo Pd Anna Finocchiaro se la prende con l’innalzamento dell’età pensionabile femminile: «Il governo Berlusconi ha deciso che le donne italiane lavoreranno di più per raggiungere la pensione mentre, per i tagli operati, diminuiranno i servizi».

E Francesco Rutelli punta il dito sull’inasprimento fiscale: «Il governo del meno tasse per tutti è finito». Ma mentre dentro l’aula ci si scontra, alla bouvette ci si riconcilia, e il vice presidente dei senatori Pd Nicola Latorre offre un drink (analcolico) al ministro Tremonti. «Con tanto di scontrino fiscale», precisa.

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