Governo, l’emergenza acqua ha fatto splash

Governo, l’emergenza acqua ha fatto splash

Siccità. Lo «stato di emergenza» per le regioni del centro-nord è stato deciso ieri, ma l’«emergenza» già non esiste più. E forse, sospettano i maligni, non c’è mai stata. Ma in Italia, si sa, un remunerativo «stato di emergenza» non si nega a nessuno: figuriamoci quindi se è il ministro dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, poteva farsi scappare l’occasione di un bel contributo «a pioggia» per combattere la «calamità» della siccità. Nei giorni scorsi Pecoraro Scanio l’aveva definita proprio così - «calamità» - proprio come se si trattasse di una punizione biblica. Peccato per il ministro che da giorni la pioggia (quella vera) sia arrivata copiosa in tutto il Nord, ristabilendo parzialmente i livelli medi di fiumi e laghi. Altro che «bacini idrici ormai ridotti a pozzanghere», come li ha definiti Pecoraro Scanio arrivando a paventare un «grave blackout elettrico» su scala nazionale.
Ieri, con lo «stato di emergenza» appena approvato, la generale retromarcia. «Lo stato di emergenza deciso dal Consiglio dei ministri è un atto preventivo, le indicazioni della Protezione Civile sono rassicuranti», precisa il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Enrico Letta; «Non esiste nessun allarmismo per quanto riguarda l’elettricità», aggiunge il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani. E così a Pecoraro Scanio non è rimasto che arrampicarsi sugli specchi: «Lo stato di emergenza per il Centro-Nord è un atto dovuto perché le piogge invernali, praticamente assenti, avevano creato una situazione tale per cui Regioni e comunità ci avevano chiesto di intervenire in modo più rapido possibile in modo da garantire le necessità dell’industria e dell’agricoltura». Necessità significa soldi. Lo stesso concetto espresso in burocratese dal ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Paolo De Castro: «L’ordinanza per lo stato d’emergenza è un atto giuridico che conferisce poteri speciali ai presidenti delle Regioni e ai prefetti, per gestire la crisi idrica. Nel testo giuridico ci saranno anche valutazioni di carattere finanziario». «Valutazioni di carattere finanziario» che fanno gola a tutti, come dimostra la tempestiva levata di scudi di Pasquale Giuditta dell’Udeur, segretario della Commissione Difesa della Camera: «Lo stato d’emergenza per la carenza d’acqua va bene, ma va esteso anche al sud». E dire che a ristabilire quasi per intero la normalità sta pensando, da sola, la natura: ad esempio il livello del fiume Po al Ponte della Becca, dove confluisce il Ticino, è salito di 2 metri in solo 24 ore; e lo stesso trend è riferibile alla gran parte dei territori che nei giorni scorsi avevano contribuito a delineare la «mappa della siccità».
Quanto al piano-antiblackout (la cui discussione è stata rinviata al 7 maggio) il ministro Bersani ha ribadito la necessità di «recuperare e mettere a disposizione del sistema elettrico italiano 6.600 mw». Ma da Bersani è arrivata anche una frecciata all’allarmismo di Pecoraro Scanio: «Il potenziale deficit è comunque inferiore alle prime ipotesi circolate nelle scorse settimane secondo le quali il sistema paese si sarebbe potuto ritrovare a fare i conti con fino oltre 8 mila megawatt in meno». Quattro i punti principali del piano anti-crisi: 1) «Forte azione di coordinamento tra tutti i soggetti coinvolti al tavolo di lavoro»; 2) «Aumento della potenza interrompibile di 1.

000 mw»; 3) «Prenotazione di 2000 megawatt di capacità con fornitori esteri»; 4) «Adozione di soluzioni idonee a permettere il funzionamento delle centrali elettriche che utilizzano le acque del Po anche in presenza di bassi livelli». Roba da addetti ai lavori, ai cittadini non resta che fidarsi sulla parola.

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