Nelle intenzioni dovrà essere un’operazione chirurgica, senza colpi d’ascia o feroci tagli lineari. Nella pratica la spending review che andrà ad abbattersi sulla Presidenza del Consiglio e sui ministeri non potrà che produrre ferite e inevitabili malumori. Tutti, però, concordano sul fatto che un governo tecnico, non dovendo fare i conti con le pratiche da «difesa del territorio» tipiche di un esecutivo politico, possa riuscire a raggiungere risultati importanti. Per Mario Monti, peraltro, la revisione della spesa non è soltanto un esercizio di disciplina o un manifesto di virtù ma una assoluta necessità per centrare gli obiettivi di finanza pubblica in presenza di un Pil calante, racimolando quei 5-10 miliardi che facciano da «rete salvavita».
La missione di Pietro Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, è già avviata. Spetta a lui il compito di analizzare i bilanci dei vari dicasteri e produrre un rapporto entro fine maggio. In questi giorni la radiografia si sta concentrando sul ministero dell’Interno e dell’Istruzione e, in particolare, nel primo caso sarebbero stati individuati margini di risparmio e razionalizzazione considerevoli.
Per quanto riguarda Palazzo Chigi, invece, la responsabilità di mettere mano alla macchina è affidato direttamente a Mario Monti, al sottosegretario Antonio Catricalà e al segretario generale Manlio Strano. Il premier ha rinnovato i contratti ai dirigenti di prima fascia soltanto fino a marzo in modo da poter realizzare senza problemi gli eventuali accorpamenti. Monti vuole fare chiarezza su numeri e qualifiche. Per questo ha convocato i 24 capi dipartimento operativi, interrogandoli sulle funzioni da loro svolte. L’analisi è ancora in corso ma attorno al 3/4 marzo il premier deciderà quali confermare, quali far ruotare e quali sostituire. Non è escluso che nel rispetto del piano di risparmio - il bilancio 2012 prevede 270 milioni in meno del precedente - alcuni dipartimenti o strutture di missione vengano chiuse, così come è possibile che si avvii una riflessione sul gigantismo della struttura che ha portato la presidenza a occupare 20 sedi per un apparato di circa 4mila persone.
Sui numeri di Palazzo Chigi non è facile fare chiarezza perché oltre al personale fisso c’è quello in prestito da altre amministrazioni e quello in «diretta collaborazione» che spesso, pur non essendo assunto, porta su di sé il peso di interi uffici. Il presidente del Forum Pubblica Amministrazione, Carlo Mochi Sismondi, per «Italiafutura», ha provato a inoltrarsi nella giungla dei dati. «Al primo novembre 2011» spiega «il sito del governo elenca 123 dirigenti di prima fascia - di cui 29 con qualifica di Capo Dipartimento - ma mancano gli incarichi agli esterni. E ancora: 163 dirigenti di seconda fascia, anche qui senza esterni. Mentre nell’elenco dei curricula esposti nell’ «Operazione Trasparenza» i dirigenti censiti sono 303». Un computo che porta Mochi Sismondi a una considerazione: «Se consideriamo che i dipendenti sono poco più di 4.000 ci rendiamo conto che abbiamo più o meno un dirigente ogni 10 impiegati, centralinisti, uscieri e autisti compresi.
Inoltre la riforma dello scorso anno prevede ben 39 strutture, suddivise in 5 uffici di diretta collaborazione, 12 strutture generali per il coordinamento e l’indirizzo politico generale nonché 2 strutture di missione, un Commissario per i rapporti con la Regione Siciliana e ben 19 strutture generali per le funzioni di indirizzo e coordinamento». Un «censimento» non privo di zone d’ombra che porta Mochi Sismondi a una riflessione amara. «C’è una pubblica amministrazione egoista che si occupa pervicacemente della propria sopravvivenza a prescindere.
Questa autoreferenzialità è alla base del mix velenoso che impedisce alla Pubblica amministrazione di essere un asset del Paese. Questo momento di crisi è anche un’opportunità per coraggiose innovazioni, che non solo portino a risparmi necessari alla finanza pubblica, ma facciano ordine».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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