Un gran Bell affare ma non per Unipol

La ragnatela dei depositi spazia da banche e fiduciarie del nostro Paese a società sparse in mezzo mondo, dalla Svizzera alle Cayman, dalle Isole Vergini a Montecarlo

Quando la «razza padana» decide a fine luglio del 2001 di vendere il 23 per cento dell’allora Olivetti a Marco Tronchetti Provera, lo fa a un prezzo elevato: 4,175 euro per azione, doppio rispetto al prezzo di mercato. Il pacco di azioni era custodito, per la gran parte, in Bell, una finanziaria lussemburghese. Bell nella vicenda fa però da cassa di compensazione, non è neutra. Tra fine luglio e agosto compra e vende azioni Olivetti. A valori diversi. E nonostante ci fosse già un prezzo fissato, i 4,175 euro che Tronchetti pagava. Vende a 2,25 euro a Gnutti e Colaninno, che a loro volta immediatamente rivendono, anche se indirettamente a Tronchetti, a 4,17 euro. In un solo giorno la coppia si porta dunque a casa una plusvalenza di 115 milioni di euro.
Percorso opposto per Unipol che invece vende a Bell azioni a 3,01 euro. Incassa circa 145 milioni per un pacco di titoli che Tronchetti avrebbe pagato poco più di 200 milioni.

Unipol insomma rinuncia a più di un euro per azione: in totale fa segnare un mancato guadagno di 56,5 milioni. Perché l’assicurazione bolognese rinuncia a questi maggiori introiti? E soprattutto cosa ne dicono gli azionisti di minoranza di Unipol?

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