Il grande bluff dei rifugiati politici Perseguitato solo uno su dieci

Ogni giorno che passa, le file dei critici della nuova politica dei respingimenti inaugurata dal governo si ingrossano: ha cominciato, ovviamente, l'opposizione, hanno continuato alcuni Vescovi e l'Osservatore romano (ma non il Vaticano in forma ufficiale) e l'Alto commissariato Onu per i rifugiati e ieri sono partiti all'attacco il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Hammerberg - lo stesso che già ci aveva criticato a vanvera per i campi rom - e addirittura il presidente della Camera Fini, firmatario insieme con Bossi della legge sull'immigrazione in vigore. Ma attenzione: nessuno di costoro ha detto che il respingimento alla frontiera è illegale, cioè che il governo italiano sta violando le regole, ma solo che la pratica è «disumana», «molto triste», «contraria ai principi della solidarietà», «una cattiva soluzione» e via dicendo. Infatti, non solo negare l'accesso al territorio nazionale agli stranieri privi di documenti o in possesso di carte illegali è lecito - e viene fatto regolarmente, alle frontiere terrestri della zona Schengen e negli aeroporti - ma è addirittura conforme alla legislazione dell'Unione Europea, (che non ha nulla a che vedere con il chiacchieratissimo Consiglio d'Europa). Se, finora, non lo abbiamo fatto, anzi quasi sempre siamo andati a prendere in mare aperto i barconi rimasti in avaria - in genere provocata ad arte dagli stessi scafisti - e abbiamo poi introdotto noi stessi i clandestini sul territorio nazionale dandogli modo di chiedere il diritto di asilo, è stato solo per una interpretazione buonista della legge del mare. Era tuttavia evidente che l'andazzo non poteva continuare: con oltre un milione di «aspiranti clandestini» già arrivati in Libia e pronti ad effettuare il balzo verso la Sicilia e altri cinquanta milioni di abitanti dell'Africa subsahariana pronti a seguirne le orme (rilevazione dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni), mantenere aperte le nostre frontiere marittime significava esporsi a un'ondata di arrivi biblica, che specie in tempi di crisi economica rischiava di fare saltare tutti gli equilibri. I «disperati» in arrivo avevano infatti imparato che, una volta messo sul suolo italiano, era poi relativamente facile restarvi, o approfittare delle frontiere aperte per raggiungere altri Paesi Ue (non a caso, sono stati gli altri governi europei a esortarci a un maggior rigore): bastava chiedere asilo politico o protezione umanitaria per ottenere un permesso di soggiorno temporaneo in attesa dell'istruzione della pratica, e comunque, anche se si veniva respinti, era sufficiente ignorare il decreto d'espulsione e darsi alla clandestinità. Solo una minoranza di coloro che arrivavano veniva effettivamente rispedita al Paese d'origine, ammesso che questo potesse essere identificato e accettasse di riprenderseli.
La stessa richiesta di asilo politico, avanzata ormai quasi dalla metà di coloro che arrivano a Lampedusa o nel Ragusano, è una evidente forzatura, utilizzata per guadagnare tempo anche quando ne mancano i presupposti: su 100 immigrati che arrivano la richiedono in 50, ma solo 10 hanno i requisiti per ottenere l’asilo. La Convenzione di Ginevra che tutti invocano prevede che il diritto venga concesso solo a chi possa dimostrare di essere individualmente perseguitato nel suo Paese, non a chi scappa solo da una dittatura (sarebbe il caso dell'Eritrea), da una guerra civile (Somalia o Sudan) o dalla miseria (quasi tutti gli altri). Ovviamente la gran parte dei clandestini che arriva in Italia non è in queste condizioni. È poi del tutto inconsueto concedere questo diritto a individui che arrivano da un Paese amico, e quando lo abbiamo fatto in passato abbiamo dovuto spesso pentircene: per esempio, quando accogliemmo alcuni esponenti del Fronte islamico in lotta con il governo algerino, o quando abbiamo aperto le porte ai rifugiati, o aspiranti tali, del Corno d'Africa che - in combutta con i centri sociali - stanno mettendo sotto scacco il Comune di Milano. Comunque, per ragioni umanitarie, spesso le commissioni competenti hanno dato a queste regole una interpretazione, per così dire, estensiva.
Ecco perché i governi italiani, sia di centro-destra, sia di centro-sinistra, come ha lealmente riconosciuto l'on. Fassino, hanno cominciato già parecchio tempo fa a negoziare con la Libia per impedire - mediante pattugliamenti congiunti delle sue coste o la disponibilità a riprendersi i clandestini intercettati in acque internazionali - che troppi arrivassero nella situazione di poter chiedere asilo. Ma ora che, grazie al trattato di amicizia italo-libico, stiamo finalmente prossimi all'obbiettivo, tutte le anime belle gridano allo scandalo, alla crudeltà, alla speculazione elettorale sulla pelle dei disperati.

Si può, per carità cristiana, simpatizzare con chi ha fatto migliaia di chilometri e affrontato grandi pericoli per conquistarsi una vita migliore, ma è insensato pretendere che ci facciamo carico di tutti i problemi dell'Africa.

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