Cultura e Spettacoli

Il Grande Correttore che fa rima con errore

Un lettore sfoglia il bel catalogo della recente mostra di Afro e trova una foto con una singolare didascalia: «Da sinistra: Moreni, Vedova, Borlotti». Il lettore ha un sussulto: Borlotti, chi era costui? Un altro membro della nobile famiglia delle leguminacee, che in arte annovera già un Fagiolo (il compianto Maurizio) e un Fagioli (Marco, il valido storico toscano)? E se invece, chissà, si trattasse di Morlotti?
Il fatto è che, in questi tempi informatici, il nome di Morlotti è passato al vaglio del Grande Correttore automatico, di cui è dotato ogni computer. Una volta c’era il Grande Inquisitore, che ci ha descritto Dostoevskij. Oggi c’è il Grande Correttore, che pretende di eliminare gli errori dell’universo. Confucio insegnava che bisogna «rettificare i nomi», intendendo dire che il primo passo verso la verità è chiamare le cose come sono. Un’azione di guerra, per esempio, non va chiamata azione di pace. Anche il Grande Correttore si propone di rettificare i nomi. Purtroppo, come donna Prassede, confonde la verità con ciò che pensa lui.
Vediamolo all’opera. Su nomi come Fontana, Vedova, Soffici non ha obiezioni. Anche Persico (il critico) lo accetta, in grazia del pesce e del golfo. Ma, per rimanere ai critici, Ragghianti proprio non gli va e lo corregge in Raggianti. Forse crede che chi si occupa d’arte abbia sempre il sorriso sulle labbra. E Bossaglia? Non scherziamo, per favore. Il Grande Correttore lo cambia subito in Boscaglia. Forse pensa alla selva di significati indagati dalla studiosa.
Il Grande Correttore, comunque, non è per niente un tipo atletico (avevamo scritto «amletico», ma ci ha già corretti). Lui dubbi non ne ha e non ne vuole avere. Carrà, per lui, diventa Carro; Sassu non può essere che Sassi; Burri, diamine, è Burro; Birolli è rettificato in Birilli.
Il problema vero, infatti, non è quando il Grande Correttore segnala degli errori. In quei casi si limita a sottolineare il nome sospetto con una bella linea rossa zigrinata. E questo sano realismo, questa capacità di accettare i limiti del linguaggio, di ammettere che il mondo non è perfetto, ce lo rende più simpatico. Come diceva Gombrich: va bene la rivoluzione, ma è un’arte anche lasciare le cose come stanno. Il problema è quando il Grande Correttore vuole, appunto, correggere, migliorare, raggiungere la perfezione. Allora è il disastro. (È accaduto anche a certi dittatori che, per trasformare la terra in un paradiso, l’hanno resa un inferno). In quel caso non c’è via d’uscita. Anche perché il Grande Correttore non ti avverte. Tu hai scritto Licini? Lui cambia in Micini, o Glicini, e chi s’è visto s’è visto. Perché il Grande Correttore non si lascia smuovere né commuovere da nessuno. Procede spedito, inarrestabile, implacabile. Taglia, accorcia, arrotonda, secondo come gli torna meglio.

E alla fine ci ammannisce uno squisito, ma un po’ indigesto, pittore Borlotti.

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