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La grande finanza si espone: per i conti italiani meglio un non politico

Le sorti dell’Italia saranno decise nuovamente fuori dai confini nazionali come avvenne a Plombières nel 1858? La storia sembra ripetersi ma con un’incognita in più: al momento non esiste un altro Camillo Benso e Silvio Berlusconi sta per cedere il passo. Ci sono, però, un Napoleone III-Sarkozy e uno pseudo Kaiser di nome Angela Merkel. E c’è anche un sistema bancario internazionale: come Rothschild 153 anni fa premeva per un rapido rientro del debito sabaudo così oggi la finanza internazionale «preme» per una soluzione tecnica della crisi politica che tuteli gli interessi esteri prima che quelli nazionali.
Non è un caso che la prima istituzione a esprimersi a caldo sul «passo indietro» del presidente del Consiglio sia stata Goldman Sachs. Sì, Goldman Sachs, la grande banca internazionale statunitense per la quale hanno lavorato Romano Prodi e anche l’attuale presidente Bce, Mario Draghi. In un report elaborato martedì pomeriggio a New York (tarda serata in Italia) e intitolato «Italia - Ora che succede?» si profilano tre scenari ai quali è associato un possibile andamento dei Btp.
La prima ipotesi è quella di un nuovo governo di centrodestra (magari allargato al Terzo Polo): grazie all’intervento della Bce si stimava un mantenimento dello spread tra i 400 e i 450 punti base, sui livelli anteriori allo choc di ieri. La seconda ipotesi si fondava su una fuoriuscita di deputati dal Pdl per costruire una grosse Koalition guidata da un «tecnocrate» (Mario Monti non è citato ma il riferimento era chiarissimo). Per Goldman Sachs sarebbe una mossa «amica del mercato» e riporterebbe lo spread a 350 punti.
Terza ipotesi: le elezioni anticipate sarebbero lo «scenario peggiore» con spread a livelli record, ma - conclude la banca - «il presidente Napolitano ne è cosciente e probabilmente eviterà lo scioglimento delle Camere». Anche Unicredit, unica italiana a essere inserita tra i grandi istituti di rilevanza sistemica, ha sottolineato che «un governo di transizione sarebbe la scelta preferita dal mercato». Una scelta, quella dei due istituti, particolare. Basti pensare che Morgan Stanley, altro colosso finanziario, ha optato per parlare tecnicamente e non «politicamente» di Btp: meglio vendere le scadenze più brevi, da due a dieci anni, visto l’elevato livello degli spread e comprare i trentennali. Nel lungo periodo, le situazioni possono sempre migliorare.
E forse non è un caso che ieri il Financial Times abbia inviato un «amichevole» messaggio a Mario Draghi. Con le prime tre pagine quasi interamente dedicate all’Italia il quotidiano ha sottolineato che l’ex numero uno di Bankitalia è stato «un complice involontario della caduta di Berlusconi» in quanto non ha provveduto ad acquisti massicci di titoli italiani. In pratica, Draghi - secondo i rumor riferiti dal Financial - avrebbe messo in mora l’Italia perché non avrebbe attuato le riforme da lui stesso suggerite a luglio assieme a Trichet. Il segnale è chiaro: o l’Italia accetta o il suo futuro è a rischio e Draghi dovrebbe considerare ciò che è necessario per l’Europa prima di pensare al proprio Paese.
La grande finanza internazionale fa il tifo per il governo tecnico. Non è né un mistero né una novità: la stagione delle privatizzazioni del 1992 fu decisa a bordo del Britannia, il panfilo della regina Elisabetta, mentre un governo non esisteva ancora. Sì, a New York e a Londra oggi - come a Plombières 153 anni fa - si fa il tifo per l’outsider, per l’esterno, per il «tecnocrate» di turno.

Ma Camillo Benso non c’è più.

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