Il grande flop P4: cadono anche le accuse al carabiniere

Un’altra picconata alla fantasmagorica P4. Il carabiniere Enrico La Monica non è più latitante. Da oggi è un uomo libero. Il tribunale del Riesame (VIII sezione) ha annullato nel merito – così come aveva già fatto con rinvio la Cassazione – i capi di imputazione contestati al maresciallo del Ros, presunto «perno» dell’altrettanto presunta associazione segreta tra Alfonso Papa e Luigi Bisignani. Il «terzo» necessario a costituire, stando al codice, l’associazione per delinquere che tale è risultata non essere. Il ricorso di La Monica (assistito dall’avvocato Domenico Mariani) era relativo all’accusa di concussione per aver acquisito, presso la banca dati delle forze dell’ordine, notizie riservate sull’imprenditore napoletano Alfonso Gallo. Informazioni top-secret che sarebbero state utilizzate dal parlamentare come forma di ricatto e di indebito strumento di pressione nei confronti di Gallo.
Una ricostruzione dei fatti affascinante, pruriginosa, ma assai lontana dalla verità: 007, soldi, minacce e sesso (sì, spuntano amanti e week end romantici in alberghi di lusso) l’ideale per una spy-story non per una banale vicenda giudiziaria che ha portato ingiustamente per cento giorni in galera un parlamentare (lo dicono i giudici di Riesame e Suprema Corte) e che ha sputtanato con 13mila pagine di intercettazioni mezz’Italia beccata al telefono con Bisignani. Giusto, allora, far parlare i giudici del Riesame che impiegano poco a smontare l’accusa: l’interrogazione abusiva alla rete, da parte del maresciallo, è del 31 agosto 2007. Quattro anni prima dei fatti su cui i pm hanno indagato, «fatti accertati tra il gennaio e l’aprile 2011» hanno invece scritto. Troppo tempo per una possibile connessione tra gli eventi. Non ci sono, poi, «dati documentali sulla base dei quali l’Ufficio di Procura aveva desunto che gli accessi al Ced (...) fossero stati effettuati dal maresciallo La Monica». Non c’era la prova, ma hanno detto che c’era. E manca soprattutto il tassello principale: «Gli elementi dai quali desumere, a livello indiziario, che La Monica prestandosi ad ottenere dati riservati su Gallo, fosse ben consapevole di contribuire a una condotta intimidatoria svolta nei confronti dell’imprenditore da Papa, al fine di un illecito tornaconto personale solo di quest’ultimo». Già, perché per i pm il maresciallo avrebbe fatto tutto questo senza ricevere nulla in cambio. Avrebbe rischiato la galera (e l’ha evitata perché scappato in Senegal) solo per fare un piacere all’amico. Per il carabiniere ci sarebbe stata solo una vaga promessa (è questa l’ipotesi della corruzione) relativa a una «sponsorizzazione» di Papa per l’ingresso nei servizi segreti militari. Ipotesi anch’essa smontata dal Riesame: poiché non ci sono prove del rapporto criminale tra Papa e La Monica (l’accesso abusivo al cervellone della polizia, il contrabbando di notizie giudiziarie segrete) cade anche la concatenata ipotesi che Papa abbia potuto spendersi per agevolare il carabiniere-confidente. Insomma. Per i giudici, le prove per spedire il militare dietro le sbarre non ci sono, perché difetta la «dimostrazione, seppur a livello indiziario, del pactum sceleris tra i due soggetti»: «Non emergendo dagli atti alcun altro elemento indiziario idoneo a corroborare l’ipotesi accusatoria con specifico riferimento alla conclusione dell’accordo corruttivo - concludono – si impone l’annullamento» dell’ordinanza d’arresto.

Il che significa che, se fosse finito in manette, La Monica avrebbe riconquistato la libertà dopo 11 mesi (ingiustificati) di carcere. Altro che mal d’Africa. Col senno di poi, dal suo punto di vista ha fatto bene a scappare e a starsene lontano dall’Italia.GMC

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