Dal «Grande Fratello» a Oscar Wilde

Marianella Bargilli veste i panni dell’ingenua Liza Doolittle Con lei sul palcoscenico Geppy Gleijeses e Marco Messeri

Non è solo una delle più celebri commedie del repertorio anglosassone ma anche e soprattutto un simbolo: una storia a sfondo sociale e sentimentale che appartiene all’immaginario collettivo, a quella memoria comune che da sempre nutre e vivifica la cultura popolare. E sarà forse per questa ragione che Pigmalione di George Bernard Shaw, a quasi cento anni dalla prima apparizione sulle scene (era il 1914), non ha ancora perso il suo fascino e la sua modernità. Lo hanno ben capito Roberto Guicciardini e Geppy Gleijeses, rispettivamente regista e interprete principale di un recente allestimento dell’opera prodotto dallo Stabile della Calabria e in cartellone al Quirino da questa sera. E lo hanno capito pure Masolino D’Amico, che - da raffinato anglista qual è - ha tradotto il testo e Marco Messeri, il quale, oltre a recitare nel duplice ruolo di Alfred Doolittle e della Signora Pearce, ha curato l’adattamento dei dialoghi, tingendoli di decise coloriture toscane. Scelta ardita ma originale a proposito della quale Guicciardini stesso spiega: «Abbiamo travasato il cockney in una parlata toscana, con forti inflessioni di pronuncia. La soluzione adottata, col suo grado di approssimazione, ha il sapore di un marchingegno, più o meno plausibile, ma comunque necessario per mettere in moto l’ingranaggio della commedia».
Pertanto, la ben nota storia della povera fioraia educata alle buone maniere dal professor Higgins (Gleijeses), integerrimo insegnante di fonetica (rigorosamente scapolo) che si fa carico dell’apprendimento linguistico della fanciulla e finisce con il considerarla una specie di sua «creatura», sembra acquistare, in questo lavoro già accolto con successo ovunque, un’atmosfera lievemente nostrana che annulla le distanze con la perbenista Inghilterra d’inizio Novecento, rendendo l’opera ancora più universale e godibile. Ancora più esplicita nella sua marcatura ironica e polemica. Anche perché spetta ad un volto noto della nostra tv come Marianella Bargilli (l’abbiamo vista nell’ultima edizione del Grande Fratello) dare corpo e voce all’ingenua Liza Doolittle di Wilde e restituire espressivamente tutte le sfaccettature di una figura femminile che, inventata dall’autore irlandese per sferrare un arguto attacco alla classe agiata dell’epoca e alle ipocrisie proprie di una società attenta solo alle apparenze, sa trasformare radicalmente se stessa, al cospetto degli altri e, tanto più, al cospetto della propria interiorità.

Non è infatti un caso che questa tenera fioraia avviata verso la libertà e l’emancipazione da un colto uomo molto più grande di lei sia stata interpretata, in passato, da straordinarie attrici quali Julie Andrews (protagonista del famoso musical ispirato alla commedia) e Audrey Hepburn, indimenticabile interprete del film My Fair Lady di George Cukor (’64). Musiche di Matteo D’Amico. Costumi (sfarzosissimi) di Lorenzo Ghiglia.
Repliche fino al 26 febbraio. Info: 06/6794585.

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