Il grande Roberto Longhi e i piccoli che lo attaccano

Fu lui a riconoscere in Ercole de' Roberti l'autore di "Settembre" nel Palazzo Schifanoia a Ferrara

Il grande Roberto Longhi e i piccoli che lo attaccano

Nel cinquantesimo anniversario della morte di Roberto Longhi, il grande studioso che ha restituito pieno lustro ai pittori di Ferrara con il suo Officina ferrarese, capolavoro della letteratura, oltre che della critica d'arte italiana, una scellerata azione denigratoria, che punta a minare alcuni fondamenti di quegli studi e di quel metodo, viene da un allievo di Carlo Ludovico Ragghianti, storico antagonista di Longhi, tale Ranieri Varese, «docente incaricato d'insegnamento», privo di meriti scientifici riconosciuti, ma per molti anni direttore dei musei civici ferraresi e, in particolare, di Palazzo Schifanoia.

In quel luogo, oggi restituito alla sua piena luce, ha lavorato con più impegno di altri maestri in parte non identificati, Francesco Del Cossa, allievo ideale di Piero Della Francesca, e sul quale, diviso tra Ferrara e Bologna, ha scritto, con rinnovato zelo longhiano, un giovane studioso al quale rimando, Giacomo Alberto Calogero. Nessun dubbio che, tra i pittori di Schifanoia, Francesco Del Cossa fosse, nello spirito di Leon Battista Alberti e di Piero, il più significativo, e la più sicura guida, tanto da essere al centro dell'incidente con il Duca Borso, committente, che non gli volle riconoscere l'equo compenso per il suo maggiore impegno. Tra gli artisti che lo guardarono come un esempio, sempre in dialogo con Piero della Francesca, c'è il giovane Ercole de' Roberti che ritroveremo poi, con lui, nel polittico Griffoni a Bologna, qualche anno dopo.

Ebbene, fino all'incursione di oggi il mese di Settembre, nel salone di Schifanoia, senza documenti certi o fonti attendibili, era stato riconosciuto a Ercole de' Roberti dall'occhio di Roberto Longhi che ebbe una illuminazione così precisa da farsi documento incontestabile. Ciò che Ercole è, e ciò che di Ercole sappiamo, parte di lì; al punto che, nell'edizione Sansoni delle opere complete di Roberto Longhi, la copertina di Officine ferraresi mostra proprio la fucina di Vulcano di Ercole.

In un violento attacco a me, il Varese non risparmia Roberto Longhi, e lo sfregia scrivendo: «La citazione della figura di Ercole de' Roberti non tiene conto del fatto che, per ragioni anagrafiche, molti studiosi lo danno assente da Schifanoia e comunque non in rapporto di discepolanza con il Cossa».

Dietro «molti studiosi», il Varese nasconde l'odio atavico per il grande maestro, e per i suoi prestigiosi allievi. Con il diniego a Ercole assistiamo alla aggressione gratuita a uno dei monumenti del Rinascimento italiano. Nella sua straordinaria intuizione Longhi riconobbe, nello spirito potentemente sperimentale, e nell'evidente supremazia dell'invenzione, il linguaggio astratto e «cubista» di una personalità nuova, identificandola in Ercole de' Roberti, uscito dalla bottega di Francesco del Cossa. E soltanto un ignorante e sciatto come Varese, con i suoi sciocchi settatori, può revocarla in dubbio.

Critico confuso e flaccido, il modesto Ranieri Varese sceglie un provincialissimo sito di Ferrara per raccontare bugie sulla riapertura di Schifanoia, con un catalogo a cura di Giovanni Sassu e Pietro Di Natale, che appare non avere letto, ignorando anche l'ultima mia monografia su Francesco del Cossa pubblicata da Skira (editore per lui inattingibile) e nella quale vi è la completa bibliografia da lui rievocata, per fingersi dotto, citando studiosi a caso nella sua intorpidita memoria. I nomi che gli sono sfuggiti sono proprio quelli degli autori delle monografie sul Cossa: Alberto Nappi ed io. E si limita a recensire un mio articolo apparso sul Resto del Carlino.

Mi pare inevitabile che, in un articolo di giornale, non vi sia spazio per la bibliografia. Ma gli argomenti di Varese sono acidamente condivisi da un piccolo gruppo di frustrati ringhiosi (Alessandra Chiappini, Gianni Venturi, Giuliana Ericani, Francesco Giombini), e da altri tristi e ignoranti chattanti che, come lui, non conoscono nulla della mia attività di ricerca (basterebbe ad aiutarli la scoperta nel 1984 del San Domenico di Nicolò dell'Arca che verrà ospitato, alla loro faccia, al Louvre dal 10 ottobre, nella mostra «Il corpo e l'Anima»). Con l'eccezione di una persona equilibrata come Tito Vecchi, ognuno parla senza sapere e senza documentarsi.

Io, nel 1976, ho vinto il concorso nazionale per ispettore storico dell'arte della Soprintendenza di Venezia, e ho scritto, tanto per dire, la monografia su Vittore Carpaccio, nel 1979, su richiesta del direttore della collana, Terisio Pignatti, mio amico ed estimatore. I ciarlatani che plaudono a Varese lo considerano esperto soltanto perché il partito comunista gli ha garantito il posto di direttore del museo Schifanoia di cui ha capito ben poco, essendo abituato a commentare i giornali o le trasmissioni televisive, e scrivendo soltanto menzogne. I cataloghi delle mie mostre e i miei libri sono arrivati ovunque, da Milano a Sydney, da Città del Messico a Mosca, diversamente dai confusi conati saggistici di Varese. Così mi fa dire cose mai dette, come che Canova fosse morto a Roma, dove invece ha avuto funerali solenni, e che il letterato ferrarese Leopoldo Cicognara fosse scultore. Ridicole osservazioni su discorsi a braccio di cui lui ha certamente capito poco.

Al grave errore critico che, senza alcun occhio se non strabico, e senza alcuna competenza se non politica, sottrae alla storia dell'arte (per un puro conato di rabbia) il capolavoro di Ercole de' Roberti, si aggiungono una serie di volontarie inesattezze fondate sull'invidia e sulla ignoranza. La formidabile impresa illuminotecnica, coordinata da Giovanni Sassu con Alberto Pasetti, è gratuitamente criticata da un semicieco che forse non l'ha neppure vista, e che scrive, contro il vero: «Tutto il progetto non tiene conto dell'unitarietà del complesso, della costruzione albertiana e privilegia aneddoti e momenti separati e irrelati fra loro. Un esempio paradigmatico di come si altera la comprensione di un'opera».

Bugie per una critica politica gratuita e insensata: «Cosa può proporre una classe politica che si lascia affascinare da semicultura, approssimazione e luoghi comuni?». Semplicemente, la democratica riapertura di un bene di tutti, come la delizia di Schifanoia, all'epoca di Varese trascurata, malinconica e male illuminata. La spudoratezza di Varese si spinge fino a insinuazioni senza fondamento sui miei concorsi universitari. Non si intende a quali si riferisca, avendo io partecipato a uno solo. Varese dimentica che dal corrotto mondo universitario furono rifiutate cattedre a Giacomo Debenedetti e a Federico Zeri. Ed evidentemente ignora che io sono stato chiamato, per chiara fama, come Professore ordinario di storia dell'arte moderna all'Università per stranieri di Perugia, e mi sono insediato nella giornata di inaugurazione dell'anno accademico 2018-2019 alla presenza del ministro Fedeli, per poi entrare in aspettativa per mandato parlamentare.

In compenso, con le sue poche pubblicazioni, Varese non risulta che abbia mai ottenuto, nonostante la protezione del padre, la cattedra di ordinario (pur facendosi chiamare professore), e che abbia gli strumenti per valutare quelle che chiama «autoattribuzioni», che sono invece dipinti pubblicati da numerosi studiosi

e argomentatamente vincolati dalla Soprintendenza, in numero di 500, con schede relative. Impari, Varese, prima di parlare, ad assumere dati certi. E ricordi Giambattista Vico: «Verum ipsum factum». Altrimenti si taccia.

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