Pietro Vernizzi
LEmpire State Building di New York e la moschea Hassan II di Casablanca affiancati in un'unica immagine, fuori dal tempo e dai contorni indefiniti. È una delle 40 opere inedite di Carlo Cane, esposte fino al 20 maggio nella galleria San Lorenzo di via Giannone. Per lartista, nato nel 1951 a Valenza (Alessandria), si tratta della prima personale milanese, emblematicamente intitolata «Utopia/Utopia», catalogo curato da Luigi Meneghelli.
«I miei quadri rappresentano città fantastiche, squarci di pura invenzione che in realtà non esistono in nessun luogo - confessa Carlo Cane -. Sono appunto una sorta di utopia, che ho creato unendo i simboli delle civiltà occidentale e orientale».
Lei però dimostra, oltre che per lOriente, una predilezione particolare anche per New York. Da dove nasce?
«Per capire in modo chiaro il senso dell'Occidente bisogna vedere i grattacieli della Grande Mela, che sono di una bellezza unica. Passeggiando tra le sue vie, avverti l'Occidente, la modernità come qualcosa di tangibile. È un simbolo: non è un caso che l'11 settembre siano andati a colpire proprio lì. Anche se in realtà non volevo rappresentare la città in quanto tale, bensì l'unione tra le persone».
Eppure i grattacieli nei suoi quadri sembrano avere qualcosa di antico. Perché?
«È un'impressione legata alla tecnica usata. Lavoro molto sulle cosiddette velature, nel senso che inizio dipingendo uno strato di colore a olio e poi ci vado sopra con resine e inchiostri da stampa. È un procedimento che mi richiede molto tempo e il risultato è quel senso di usura, di vissuto».
Quasi foto d'epoca
«Sì, e infatti tra i miei modelli cè Luigi Sacchi, fotografo milanese di metà Ottocento, che era solito usare delle lastre trasparenti.
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