«Grazie Internet, hai salvato i ragazzi dall’analfabetismo»

L’irlandese John Banville confeziona romanzi raffinati, riceve i complimenti di Don DeLillo, svariati premi letterari (tra cui il Man Booker Prize, nel 2005, per Il mare), ma anche qualche critica in patria per la sua scrittura particolarmente ricercata. Benjamin Black firma romanzi noir che sono la gioia dei lettori, e che in Irlanda vendono milioni di copie. Benjamin conosce bene John, perché di quest’ultimo è l’alter ego che sigla thriller conditi di ironia e ambientati a Dublino, città dove Banville vive da sempre perché «ne amo il clima. Adoro l’Italia, ma non potrei mai lavorare da voi: la luce è troppo forte, troppo limpida».
In Italia, al «Festival della Mente» di Sarzana, Banville arriva oggi (ore 17,30, chiostro San Francesco) per discutere del rapporto tra creatività e bellezza. In libreria è invece appena uscito il suo Congetture su April (Guanda, pagg. 285, euro 17,50, trad. I. Abigail Piccinini), un giallo «alla Benjamin» ambientato in una fredda Dublino dove l’improvvisa scomparsa di una giovane dottoressa porterà la sua migliore amica e il padre di quest’ultima (l’anatomopatologo Quirke, protagonista di altri noir di Banville) a scoprire scomode verità.
Qui da noi tutti i suoi romanzi sono pubblicati con il suo vero nome, senza pseudonimo. In Irlanda ha scelto di sdoppiarsi. Perché?
«È un gioco letterario per aiutare il lettore a capire che tipo di libro ha per le mani. È solo una firma, non una maschera per prendere le distanze. Del resto i libri che firma Banville sono molto diversi da quelli di Black: Banville impiega almeno un anno a chiudere un volume, anzi quello cui sto lavorando ora, di cui non anticipo nulla, potrebbe richiedermi dai due ai cinque anni di tempo. Black invece confeziona i suoi romanzi in pochi mesi. Banville si dedica ai monologhi, Black ha una scrittura fluida e spontanea, attenta ai dialoghi e all’evoluzione della trama. Black scrive quando è ispirato, Banville quando è concentrato. Il primo è un artigiano, il secondo è un artista».
«The Angel of Beauty», l’angelo della bellezza, è il titolo del suo intervento a Sarzana.
«Parlare di bellezza oggi è imbarazzante come era discutere di sesso in pubblico in epoca vittoriana. Invece si tratta di un valore fondamentale. Viviamo nel paradosso di essere bombardati dalla bellezza nel quotidiano, nella moda, nello sport - a esempio in inglese il calcio è definito spesso come beautiful game -, ma di non apprezzarla più o di non volerla riconoscere nell’arte e nella scrittura».
In che senso?
«Ci siamo assuefatti a un certo tipo di arte moderna per cui solo il brutto è depositario di verità, quasi che il bello sminuisca lo spessore o l’importanza di un’opera d’arte, rendendola superficiale o effimera. Invece non può esserci arte senza bellezza: persino il più involuto quadro di Picasso ha una sua armonia nella composizione, nella forma, nell’organizzazione dello spazio».
Non tutti gli artisti contemporanei sono d’accordo...
«È tipico di ogni generazione giocare a scioccare, agli inizi. Il tempo rende tutti più conservatori. Ciò che intendevo dire è che l’arte ha bisogno della bellezza: questa può non essere convenzionale, può apparire persino dura, ma dovrebbe essere l’obiettivo dell’arte».
Parla anche della scrittura?
«Non ho mai negato di lavorare molto sulla ricerca dello stile e delle parole. Sono assai critico con me stesso».
A proposito di critiche: a chi la accusa di utilizzare un lessico troppo difficile lei suggerisce sempre di aprire il vocabolario almeno una volta al giorno?
«Certamente. Il dizionario è un’invenzione grandiosa, è un mondo pieno di bellezza cui le persone dovrebbero rivolgersi regolarmente. Ci siamo dimenticati che la lingua inglese, come del resto molte altre, è ricca di sfumature e di parole desuete da recuperare. Una lettura semplice, senza sforzi, porta solo a idee semplici, banali».
Internet ci sta rendendo assuefatti all’omologazione del linguaggio, a discapito della bellezza della parola?
«La Rete può essere considerata una sorta di dizionario: se ben usata può essere molto utile. Non sono tra gli autori che si ergono a detrattori della scrittura digitale: Internet è piena di imprecisioni e di semplificazioni, è innegabile, ma ricordiamoci che ha rimesso i nostri ragazzi a scrivere. I giovani sono tornati a redigere lettere a volte lunghissime, ossia le mail agli amici, e usano la lingua scritta per comunicare tra loro.

È un fatto recente e lo diamo per scontato, ma fino a non troppi decenni fa la scrittura e la lettura erano accessibili a una ristretta minoranza di persone: solo oggi sono uno strumento democratico, alla porta di tutti».

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