Alla fine, ha prevalso il senso di responsabilità. La maggioranza che sostiene il premier greco Lucas Papademos, ormai ridotta ai centristi di Nea Demokratia e ai socialisti del Pasok, si è convinta della necessità di sostenere le misure di austerity (15mila licenzimenti nel settore pubblico e decurtazione dei salari minimi del 22%) per beneficiare dei 130 miliardi di aiuti da parte di Fondo monetario internazionale, Ue e Bce nonché dell’accordo con le banche estere volto alla ristrutturazione del debito sovrano.
In un’Atene trasformata in un campo di battaglia dagli scontri tra i manifestanti, fomentati dai sindacati di sinistra, e polizia, i leader politici greci hanno piegato la testa. La scelta, infatti, era obbligata tra la speranza di risollevarsi e l’annullamento totale. Soprattutto dopo che i due giorni di sciopero indetti dalle organizzazioni dei lavoratori hanno bloccato tutte le attività economiche del Paese. I dimostranti non hanno fatto complimenti nello scagliare molotov contro i poliziotti che hanno reagito con determinazione. L’Acropoli, invece, è stata utilizzata dai comunisti come location per piazzare striscioni che incitavano alla lotta contro l’imperialismo capitalista. Oggi si replica in concomitanza con il voto dei deputati. La discussione sul decreto-legge varato da Papademos è cominciata ieri e si concluderà oggi in serata. «I costi sociali non si possono paragonare con il disastro» che genererebbe una loro bocciatura, ha spiegato il premier parlando enfaticamente in diretta tv. «Greci, mi rivolgo a voi, siamo a un tiro di schioppo da Ground Zero», ha esordito.
Sulla stessa linea d’onda anche il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, che ha incitato il suo popolo come Leonida alle Termopili: «La guerra è ora. Se vacilliamo, niente rimarrà in piedi». «Il nuovo programma è la nostra unica speranza perché l’haircut sul debito sovrano da 100 miliardi di euro è un sollievo non indifferente», gli ha fatto eco l’ex premier e leader del Pasok, George Papandreou. Il numero uno di Nea Demokratia, Antonis Samaras, non ha usato mezzi termini per evitare eventuali nuove defezioni dopo l’uscita dell’estrema destra del Laos e di alcuni deputati socialisti dalla maggioranza. «Chi si oppone alle misure non sarà ricandidato», ha tuonato Samaras che, tuttavia, ha già fissato una scadenza all’esecutivo tecnico: elezioni dopo il «bond swap», cioè dopo l’accordo per la sostituzione dei vecchi titoli di Stato con nuovi svalutati del 70 per cento.
La posta in gioco è altissima. Non solo per ciò che concerne i 14 miliardi di euro di sirtaki bond in scadenza a marzo, e che Atene non può materialmente ripagare, ma soprattutto per il sostegno collaterale dell’Ue all’austerity. In attesa della seconda tranche di aiuti da 130 miliardi è infatti previsto un prestito-ponte dell’Efsf (il fondo salva-Stati europei) per finanziare il buy-back dei titoli greci e, soprattutto, la possibilità di garantirsi un margine di deficit anche nel 2012 (il raggiungimento dell’avanzo di bilancio è stato spostato al 2013). A sua volta, Atene dovrà garantire circa 3,5 miliardi dalle dismissioni di asset pubblici e tagliare di 1,1 miliardi la spesa farmaceutica, mentre le banche greche dovranno portare il Core Tier 1 al 9% entro fine settembre anche ricorrendo ad aiuti di Stato.
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