Grecia, ora in Europa è rischio contagio

Dopo il crac finanziario di Dubai, il cui debito è stato solo parzialmente ripianato dall’emirato di Abu Dhabi, ricco di petrolio ma non di voglia di aiutare il fratello sciupone, ora è il debito della Grecia che è in crisi. Il suo deficit è al 12%, il debito pubblico è schizzato verso l’alto, il piano di rientro del governo è considerato con scetticismo dalle autorità europee e la Banca centrale europea ha dichiarato che non è disposta al salvataggio. E il divario fra il tasso di interesse sui Bund (cioè i Bot poliennali) tedeschi e il debito greco è salito a 2,8 punti. Se la spirale continuasse, la Grecia potrebbe non esser più in grado di pagare i debiti in scadenza, con altri emessi a tassi più alti. La Grecia è piccola, ma non è l’unico Stato dell’euro zona con un mercato del debito precario.
Il contagio passa dalla Grecia all’Irlanda, sino a poco fa indicata come l’economia prodigio dell’Europa. Ha corso troppo, con finanza fasulla ed stata travolta da una crisi bancaria, che ha indotto lo Stato a un costoso salvataggio. Ora anche il tasso sul debito irlandese è 2,8 punti sopra quello dei Bund. Il contagio potrebbe passare al Portogallo, poi chissà, persino alla Spagna che sino al 2007 era il Paese con più basso rapporto fra debito e Prodotto nazionale di tutta l’ Europa.
L’Italia non corre questo rischio, il divario fra il nostro tasso e quello dei Bund, che era negli ultimi mesi del 2009 allo 0,68%, in questi giorni, mentre scoppiava la crisi greca è sceso di 0,3 anziché aumentare. La ragione di ciò è che il nostro deficit non ha superato il 5 per cento del Pil. Considerato che il Pil è calato di quasi altrettanto, con il recupero parziale che è in atto, il nostro deficit tornerà sotto il 3% secondo il piano di rientro sottoscritto in sede europea. La nostra Irpef è un pilastro robusto del sistema fiscale e basata come è quasi tutta su ritenute alla fonte , garantisce la nostra solvibilità.
Gli italiani possono (e debbono) lamentarsi dell’alta pressione di questa imposta, ma non del rinvio dalla riforma promessa da Berlusconi (che non consiste tanto nella riduzione del numero delle aliquote, quanto nel loro peso). Tremonti deve attuare il piano di rientro che ha presentato e che è stato approvato. Esso comporta il controllo della spesa, ma anche la presenza di entrate che aiutano nel riequilibrio. Lo fa senza aumentare le imposte.
La Grecia, l’Irlanda, la Spagna non sono nella stessa condizione, dato il deficit più elevato. Ma se aumentano le imposte soffocano la ripresa. Invece da noi non si pone questo problema e la ripresa c’è. L’Istat ha comunicato che sia il fatturato che gli ordinativi sono cresciuti a novembre del 2,4 %. Ciò dipende soprattutto dal miglioramento dell’export. Ma anche gli ordinativi sul mercato interno sono in movimento. Il Fondo Monetario e la Banca Mondiale nel rivedere al rialzo le stime dell’economia mondiale mettono però in evidenza che essa è trainata dall’Asia con una crescita del 7% e dalla parte più vitale dell’America Latina con una crescita fra il 2,5 e il 5 mentre l’Europa e gli Usa non sono altrettanto dinamici. Gli Usa hanno avuto una sconvolgente crisi finanziaria e Obama la ha combattuta, salvando le banche e non l’occupazione e spendendo cifre eccessive in deficit ed ora il recupero è difficile e gli elettori cominciano a capirlo. Ma per l’Europa, a parte le questioni strutturali, c’è ,appunto, nell’area euro la questione dei quattro Stati membri in crisi, cioè Grecia, Irlanda, Spagna ,Portogallo. E fuori dell’area euro, ma sempre nell'Unione europea abbiano la crisi inglese. Il commercio estero italiano, per esempio, ha subito una caduta particolare per due mercati per noi importanti come quello inglese e spagnolo. Ed ora la ripresa europea è zoppa, perché c’è una parte che ha un recupero più difficile. C’è però una nota di ottimismo in questo quadro, consistente nel fatto che l’euro, a causa della crisi del debito greco, irlandese, portoghese e spagnolo, ha perso quota e sta scendendo sotto 143 con il dollaro. Un cambio sopra 145, come quello che si stava delineando, ci creava grossi problemi con i prodotti dei Paesi asiatici che mantengono un aggancio artificioso delle loro monete con il dollaro, mediante i controlli valutari.

Ciò in parte ci può compensare delle minori opportunità di mercato nei Paesi dell’area euro, incagliati nella crisi. Ma non basta l’euro a quota ragionevole, occorre, comunque, non abbassare la guardia e, nel contempo, darsi da fare per consolidare le posizioni.

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