Quando in ballo c’è la Grecia è meglio non dar mai nulla per scontato. Ma questa volta sembra davvero in dirittura d’arrivo l’intesa sulle nuove, e severissime, misure di austerità che Atene deve adottare per aver in cambio 130 miliardi di euro ed evitare così il default. La prova? Nella serata di ieri, il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha annunciato la convocazione per oggi alle 18 di una riunione dei ministri finanziari dell’Eurozona, cui parteciperà anche il numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. Il vertice era stato più volte rimandato proprio a causa del protrarsi dei negoziati tra il governo guidato da Lucas Papademos e la troika di Ue-Bce-Fmi.
L’impasse pare quindi essere stato superata, anche se nella tarda serata di ieri Papademos e i leader dei tre partiti (Pasok, Nuova Democrazia e Laos) che lo sostengono erano ancora riuniti allo scopo di dare il via libera all’ennesimo giro di vite finanziario e sociale. La lunghezza dell’incontro è del resto giustificata dalla delicatezza dei provvedimenti da assumere, ancora più draconiani rispetto alle indiscrezioni circolate nei giorni scorsi. La troika ha imposto un diktat: prendere o lasciare. E la Grecia non poteva passare la mano. Senza i fondi del secondo bailout, non potrebbe neppure rimborsare i 14,5 miliardi di sirtaki-bond che giungono a scadenza il prossimo 20 marzo.
L’ultima versione del piano prevederebbe un taglio del 22% dei salari minimi (due punti in più delle ipotesi circolate in precedenza), destinati quindi a scendere a 586 euro lordi, oltre a un taglio del 15% sulle pensioni integrative e la soppressione di 15mila posti di lavoro nel settore pubblico quest’anno, solo una prima tranche dello sfoltimento complessivo che ridurrà l’apparato statale di 150mila dipendenti entro il 2015. Ai greci verrebbe anche chiesto di ricapitalizzare il sistema bancario e di procedere con una riforma del mercato del lavoro e del sistema pensionistico. Una volta approvato, il pacchetto passerà all’esame del Parlamento, dove non dovrebbe incontrare ostacoli, potendo contare la maggioranza di 255 voti su 300.
«Le trattative sono in corso ed elementi di risposta arrivano poco a poco. Constato gli evidenti progressi che riguardano il settore privato», aveva detto Juncker ieri pomeriggio, mentre l’incertezza sulle trattative frenava tutte le Borse tranne Milano (+1%). La Germania, in effetti, non pare troppo ottimista: negoziati «ancora difficili», ha spiegato il viceministro delle Finanze tedesco, Thomas Steffen. Se davvero progressi sul fronte della ristrutturazione del debito greco sono stati fatti lo si vedrà oggi, nel meeting dei creditori privati raccolti nell’Institute of international finance (Iif). La quadratura del cerchio potrebbe essere raggiunta sulla base di una perdita di capitale sui bond ellenici attorno al 70%, ma non è escluso un taglio del 75% che, secondo uno studio dell’Istituto per la ricerca economica di Kiel, costerebbe ai contribuenti tedeschi almeno 26 miliardi di euro.
Ancora da chiarire è tuttavia il ruolo nella vicenda della Bce, che oggi tornerà a riunirsi. Una ricostruzione dell’agenzia Dow Jones ha rivelato che l’istituto guidato da Mario Draghi ha già accettato di partecipare allo swap del debito greco. «Nulla è stato ancora deciso», hanno però dichiarato fonti vicine all’Eurotower.
Per rispettare le norme dei trattati, l’intervento verrebbe comunque effettuato attraverso lo scambio da parte della Bce dei bond greci in suo possesso con titoli emessi dal fondo salva-Stati Efsf. Francoforte rinuncerebbe a parte dei profitti su questi titoli comprati a sconto, pari a circa 11 miliardi di euro.
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