da Milano
Il clima drammatico che sta vivendo il trasporto aereo negli Stati Uniti si può illustrare con un aneddoto dellaltro ieri. Un giornale di Filadelfia ha pubblicato un ampio annuncio pubblicitario nel quale una compagnia pubblicizzava la tariffa «a peso»: 1,5 dollari al chilo per tratta, 4 in business. Lannuncio rinviava a un sito internet nel quale solo dopo una lunga lettura si poteva apprendere che la compagnia era inesistente, che lannuncio era falso e che liniziativa era delleditore del quotidiano, allo scopo di dimostrare lefficacia del suo mezzo. Detto per inciso, negli anni Venti, negli Stati Uniti, i passeggeri venivano tutti pesati, con il proprio bagaglio; ma per monitorare il carico, non per stabilire il prezzo del biglietto.
Gli Stati Uniti sono più esposti al caro-petrolio perché non beneficiano, come lEuropa, delleuro forte. In un Paese che necessita più dogni altro dellaereo, il mercato è crollato e i vettori sono alla ricerca ossessiva di riduzioni di costi e di maggiori ricavi, anche attraverso fusioni che possano creare economie di scala: lultima grande operazione riguarda lacquisizione di Northwest da parte di Delta. Ma, se questo è il livello «macro», che comprende la riduzione di rotte e flotte, non ci si vergogna a prendere misure «micro»: molte compagnie hanno eliminato i telefoni che da 15 anni sono installati sul posteriore dei sedili, per risparmiare sul peso; tanto, non li usava quasi nessuno. Una decisione «invisibile» riguarda lacqua: se ne carica di meno nei serbatoi, badando, su base statistica, di non far rimanere i bagni a secco. Dellaltro ieri la notizia che United Airways tasserà con 15 dollari anche il primo bagaglio imbarcato; finora ci si era fermati al secondo. La stessa United farà pagare due dollari una bibita, mentre Us Airways, che ha ridotto dell8% i propri collegamenti, lascerà i passeggeri «vip» orfani delle lusinghe nelle salette dattesa: chiuse.
La rapida progressione del prezzo del petrolio, raddoppiato in un anno, ha portato la voce carburante a pesare per il 32% sul totale dei costi di una compagnia; la Iata - lassociazione mondiale del settore - si è spinta a prevedere perdite complessive, nel 2008, per 6,1 miliardi di dollari. Oggi, poi, le compagnie sono esposte più del passato anche perché il prezzo delle polizze che proteggono dallaumento del petrolio è diventato così alto da non essere più conveniente; così i vettori, grandi e piccoli, proprio in questo momento sono esposti in pieno alla volatilità del greggio (tranne qualche «coda» di vecchi contratti che ancora attutisce i danni). Le piccole compagnie, per le quali lhedging non è mai stato conveniente, sono esposte al 100%. Anche per questo il mercato sta aspettando con ansia le prime consegne del Boeing 787, annunciate per il 2009, che grazie alluso di materiali più leggeri, pesa di meno e fa prevedere consumi inferiori del 20% rispetto ai modelli concorrenti.
Delle decisioni non fanno le spese solo i passeggeri, che si vedono ridurre i servizi e aumentare i costi (il fuel surcharge, il sovrapprezzo-petrolio, viene evidenziato separatamente dalla tariffa proprio perché il cliente abbia percezione dellaumento dei costi a monte); ma pesano soprattutto sui dipendenti, che vengono tagliati a colpi dascia. Negli ultimi due mesi United, Delta e Continental, tre delle prime quattro compagnie americane, hanno annunciato la riduzione di 7.600 posti di lavoro, prepensionamenti compresi. Quanto ad American Airlines, in maggio ha annunciato migliaia di esuberi, senza specificarne il numero.
Il capitolo fusioni, incorporazioni, alleanze è in fermento, e le previsioni sono - negli Stati Uniti come in Europa - per una concentrazione sempre più netta; alcuni analisti prevedono che negli Usa resteranno non più di tre mega-carrier.
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