Una griffe multiuso per epigoni italiani

Non è colpa di Salinger se Il giovane Holden in Italia ha creato una griffe multiuso, sempre con la scusa del «romanzo di formazione» coniugato con l’adolescenzial-generazionale, sicché qualsiasi stronzata che cominci con un ragazzino incazzato con il mondo è subito un Bildungsroman, tenuto conto che il romanzo in questione non è poi un capolavoro ma, attenzione, non si può dire. E se non siete almeno me vi sconsiglio di dirlo in pubblico. Nei salottini e nelle terrazzine ancora oggi aver letto l’Holden e apprezzarlo è d’obbligo o, almeno, citarlo tra i romanzi preferiti, tanto quanto Tondelli nei circoli culturali giovanili, e quand’è così in letteratura c’è sempre qualcosa che non quadra.
Non si è mai capito poi cosa ci trovassero di generazionale i generazionali italiani, che infatti l’hanno sempre coniugato all’italiana, perché insomma l’Holden funzionava, a livello di narrativa popolare, nell’America degli anni Cinquanta almeno quanto Moravia nell’Italia degli stessi anni (ma anche Agostino sarà un Bildungsroman?). Così i lettori light e gli scrittori light si riconoscono nell’Holden quanto in politica Veltroni si riconosce in Kennedy, oltre che riconoscersi anche lui, come «scrittore», nell’Holden di Salinger.
Sono presunti figli di Holden tutti i cannibalini, in primis il Woobinda di Aldo Nove, e lo è a pieno titolo Alessandro Piperno con il suo Le peggiori intenzioni, e se il suo padrino D’Orrico avesse etichettato Piperno «L’Holden italiano» anziché paragonarlo a Proust non avrei avuto nulla da ridire neppure io, chissenefrega. A proposito di Proust, e per le suddette ragioni, non ho idea di quante volte l’Holden sia stato citato nella rubrichina del «gioco di Proust» tenuta da Paolo Di Stefano, sia che intervisti una valletta sia che intervisti un regista, uno scrittore, un tronista, e l’Holden è il mito sia di Roberto Cotroneo che di Federica Bosco, e non sono neppure due facce della stessa medaglia.
Ho sempre pensato, infine, che se Holden Caulfield fosse invecchiato sarebbe diventato il Barney di Mordecai Richler, e pure lì, infatti, altra schiera di seguaci, però di Barney potete ancora dire che alla fine è un libro ruffiano. Tuttavia Salinger, poverino, ora che è morto, per gentilezza funebre, va scagionato dalla iattura di Baricco, che prova a baricchizzare tutto ciò che tocca e ha dato la mazzata definitiva al mito portandolo allo scoperto in tutta la sua innocua essenza, fondando una collana della Rizzoli (la «Holden Maps») e un’omonima scuola di «scrittura creativa», la Scuola Holden (a riprova del carattere consolatorio dell’idolo, ve la immaginate una Scuola Conte de Dolmance? Una Scuola Patrick Bateman?). Una scuola dalla quale non ho mai capito quale scrittore sia uscito (a parte Paolo Giordano, appunto), so solo che ogni tanto ti capita di vedere una qualche figura particolarmente insipida e impiegatizia pagata per parlare in qualche tavola rotonda di qualche salone o fiera del libro e chiedi «Chi è?» e ti rispondono «Uno della Holden» e tu fai «Ah» e finita lì.

Certo se l’avessero intitolato non Il Giovane Holden ma L’acchiappatore nella segale, come poteva essere se un traduttore pedissequo avessero tradotto letteralmente il titolo, avrei voluto vedere che cazzo di scuola fondava, l’acchiappatore Baricco.

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