Grillo si fa il suo partito: arrivano i candidati-sbirri

Alla presentazione di Firenze a fianco del comico anche Travaglio, orfano di Di Pietro che andrà per conto proprio. "Gli eletti dovranno leggere le delibere e trovare notizie utili per la Corte dei conti e la magistratura ordinaria"

Grillo si fa il suo partito: 
arrivano i candidati-sbirri

Siamo fatti, finiti, morti. In un teatro fiorentino, ieri, Beppe Grillo ha lanciato le liste civiche che si candideranno per le amministrative di ben tredici Comuni italiani: e per noi della casta, noi pennivendoli, negare l’inarrestabile realtà dei fatti sarebbe oltremodo patetico. Siamo morti che camminano, ce la stiamo raccontando, il presente e il futuro sono loro. A spazzarci via non è solo il vento dell’Ovest del solito e citatissimo neopresidente d’Oltreoceano, per quanto i suoi primi passi l’abbiano già fatto soprannominare George W. Obama: «Avevamo anticipato quel che sta facendo», ha detto seriamente Grillo. Macché. È l’abilità strategica del comico genovese che si sta rivelando un colpo di grazia per tutti noi.
Ieri, per esempio, ha finto che i grillini stipati nel teatro Saschall non fossero più di duemila (come un congresso del Psdi di Mimmo Magistro) per confonderci le idee rispetto alle folle oceaniche dei suoi V-day: e a tutti gli altri, milioni di persone, ha dato istruzione di sperdersi in sale giochi e strusci pomeridiani. Diabolico. Ed è con una ristrettissima élite che ha condiviso un messaggio politico inedito e rivelatore: «Questo esecutivo», ha detto, «è un governo illegale, incostituzionale, eletto senza voti di preferenza, fatto di nani, ballerine, puttanieri e ruffiani». La novità è così sottile che quasi non la cogli: quel «ruffiani» non l’aveva mai detto. La svolta è dirompente, il popolo della rete impara in fretta. Figuratevi che ieri il suo pubblico sembrava composto dagli ubriachi di sempre, gente che si sganasciava solo alle parole «cazzo» e «culo»: questo per dar l’idea del mimetismo politico, della determinazione incessante con cui essi sanno fingersi gregge pur di fregarci. Ci stanno riuscendo: diabolico.
Anche il documento programmatico che ispirerà l’azione delle liste è roba da farci fare le valigie entro venti minuti, bastino alcuni estratti: «Ripubblicizzazione dell’acqua, espansione del verde urbano, contrasto all’edilizia speculativa, sviluppo delle fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico, politica di rifiuti zero, trasporti non inquinanti, impianti di depurazione obbligatori, licenze edilizie col contagocce, favorire le produzioni locali». Davvero astuto: riproporci il programma dei Verdi di Gianfranco Amendola dei tardi anni Ottanta con in più uno spolvero di ottimismo berlusconiano in tempi di crisi: «I partiti se ne sono andati, forse non ci sono mai stati, non si sa cosa siano, sono tutti finiti, i giornali chiudono, le televisioni chiudono, la pubblicità se ne va, l’automobile è morta, il digitale terrestre è nato morto». Grillo ha capito che di questi tempi la gente va incoraggiata: «Dobbiamo prepararci a una miseria a cui non siamo assolutamente abituati», ha detto alla folla festante, «ma che ci farà molto bene perché toglierà di mezzo tutti i bisogni inutili».
Il perfetto militante grillesco, non a caso, si è mosso con un anticipo generazionale: ha rinunciato da sempre non solo ai giornali, ma si è sforzato di non entrare praticamente mai in una libreria. E lo sforzo l’ha temprato: ora è un vietcong, un soldato che non possiamo battere. La purezza grillista, la sua ignoranza ortodossa in tema di libri, spiegava anche ieri il successo di Marco Travaglio. Mortificato da anni di confino nelle prime serate di Raidue, si è affacciato al teatro Saschall orfano di Antonio Di Pietro, che per le amministrative andrà per fatti propri: e anche qui, chi l’avrebbe mai detto. Travaglio ha sottolineato come in Italia sia necessario «ripartire dalla Costituzione», e ha sostenuto che in tal senso i grillini che saranno eletti dovranno studiare molto: giusto anche questo, soprattutto considerando che l’anno scolastico volge al termine. Senza la terza media non ti prendono neanche più in consiglio comunale, ormai. Il linguaggio di Travaglio, more solito, ha ammaliato la folla con la forza di un sogno: «Gli eletti nei consigli comunali devono leggere le delibere, studiarne i dettagli e trovare notizie utili per la Corte dei Conti se c’è sperpero di denaro pubblico, o la magistratura ordinaria se ci sono invece sconfinamenti nel penale». Un carabiniere in ogni paese come diceva Almirante: con rispetto parlando.
Poi, in coda, l’ultima delle idee geniali: leggere al pubblico grillista alcuni articoli della Costituzione, perché nulla è più inedito dell’edito.

Leggeva e leggeva tra gli applausi, Travaglio, e tale era la rettitudine degli ascoltatori che quasi sembrava ascoltassero quelle parole per la prima volta. Per questo siamo fatti. E non possiamo batterli. Neanche rilanciando le scuole serali.

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