Politica

Grillo, tutte le sue battute che fanno piangere la sinistra

Da anni il comico genovese prende di mira i vertici dei . Che gli danno anche del "fascista". Le bordate peggiori contro le più alte cariche. Come l'attacco a Napolitano

Grillo, tutte le sue battute che fanno piangere la sinistra

La domanda ontologica è piuttosto fondata: può diventare leader del Pd uno che considera il Pd medesimo «una nave che affonda con le pantegane che fuggono in cerca della scialuppa»? Il sottile richiamo roditorio è evidentemente riferito a quelli che adesso vorrebbe come compagni di partito, i quali nella retorica grillesca diventano guappi da Muppet Show con i nomi storpiati: oltre all’indimenticabile Valium Prodi, il Pd è un bim bum bam politico ove ammirare le magnifiche entusiasmanti avventure di Topo Gigio Veltroni, Napolitano «Morfeo», Massimo Volpe-nel-deserto D’Alema «servo del padrone di Arcore», e poi Dario Boccon-del-prete Franceschini, Piero «Globulo» Fassino, senza contare il temibile Bersanetor, lo sterminatore dei tassisti. Gente che «non prende voti neanche dai parenti». Luciano Violante diventa «il ministro ombra di Mediaset», e neanche i quadri più innocenti vengono risparmiati dalla furia grillina: come il nuovo sindaco di Firenze, «l’ebetino Rienzi, paladino degli inceneritori». O come il professor Pietro Ichino, liquidato come «Jachino, un incrocio con Japino, quello della Carrà». Più che dirigenti, «rifiuti tossici della sinistra di cui ci libereremo solo con una purga». Parola del candidato Beppe Grillo, che oggi si erge dunque a Guttalax della situazione.
Una cosa è certa: il primo atto di Grillo segretario c’è già stato, ha cambiato nome al partito, modifica già consolidata nelle invettive del suo blog. Il Pd come lo chiama lui diventa «Pd-meno-elle», a sottolineare l’inciucismo regnante a sinistra, quella dei «chierichetti che cantano la stessa messa». Prendi Veltroni, alias «Walterloo: è stato il migliore alleato del Pdl. Se fossi Berlusconi lo farei vicepresidente del Consiglio». E ancora: «Topo Gigio dice che vuole ritornare allo spirito del Lingotto. È come se Napoleone volesse ritornare a Waterloo». E D’Alema? Be’, al lider Massimo il comico genovese ha dedicato una lettera con un titolo diciamo poco enigmatico: «Il re dei paraculi». Quello che «negli anni ’70 diventa consigliere comunale, poi non ha più lavorato». Adesso Grillo ha lanciato l’Opa ostile al Pd, memore forse dell’eroico periodo dell’affaire Unipol, quando stava per scendere in piazza: «Voglio organizzare un D’Alema-day, per spiegare alla stampa estera che lui è più uguale dei comuni cittadini di fronte alla legge».
Le bordate che rimbombano di più sono ovviamente quelle contro le alte cariche. Celebre l’invettiva contro il Quirinale durante il V-Day: «Napolitano mi ricorda Morfeo, dorme dorme e poi esce e monita. Se possibile vorrei la sua cartella sanitaria». Salvo poi diventare un capo dello Stato «manolesta, quando ha firmato il Lodo Alfano nel giro di un’ora». L’insistenza sull’effetto narcotico del Pd è un classico tormentone la cui vittima predestinata ha nome e cognome: Romano Valium Prodi. «Ho parlato mezz’ora con quest’uomo ed è accaduta una cosa stupefacente. Valium s’è addormentato. Poi mi ha sorriso, con gli occhi chiusi!». E la piazza si sbellica. «Sapete che Prodi ha detto agli italiani che si devono riavvicinare alla politica? Se fosse così, io non glielo consiglio». Sul prontuario farmaceutico Prodi gli ha pure risposto: «Non sono un Valium, in realtà sono sveglio come un grillo!», disse Romano ridendo felice della sua controbattuta. In realtà alle sferzate di Beppe la nomenklatura di solito risponde piccata, tira in ballo «il pericolo dell’antipolitica», o come D’Alema, risponde che «il suo vaffa è molto simile al menefrego». Musica per le orecchie del cantainsulti genovese, che intona il refrain: «Questi dirigenti iscritti al partito in tenera età non hanno mai saputo cosa vuol dire non avere uno stipendio, essere precari, disoccupati, lavorare!». Il governo ombra? «Sembra un club Med per trombati». Ovviamente ce n’è anche per ’O governatore della mondezza, «il ministro dei rifiuti ombra: fermate i finanziamenti pubblici per Bokassa Bassolino». E il supplizio ha toccato pure l’ex ministro del lavoro Damiano, con tanto di metafora cinematografica tratta dal celebre horror Il Presagio: «Damien sotto i capelli aveva il numero 666 della Bestia, “Damien” Damiano sotto la barba ha il numero di telefono di Confindustria». Neanche Giuliano Amato alla fine si salva: «Questo nano! Dov’eri, omino, quando facevi il cassiere dei socialisti?». Meno male che adesso nel Pd «ci sono i nuovi talenti - ironizza Grillo - gente nuova, come Garavaglia, Minniti e Lanzillotta». Nelle parole del candidato a sorpresa, altro non sono che una pattuglia sgangherata di «diessini-diossini, assistiti dalla grazia, dallo spirito santo Scalfari, dal divino Carlo De Benedetti, dalle cooperative rosse, ma anche bianche».
Ritratti al vetriolo sparati su internet e scagliati nei comizi, che hanno spinto il dalemiano La Torre a denunciare «il linciaggio indiscriminato con il rischio di derive fasciste» del popolo del V-day. Con una postilla profetica: «Però teniamolo d’occhio». Adesso che Beppe Grillo si è deciso a fare il grande passo (ammesso che lo lascino fare), hanno uno strano sapore quelle parole sparate mesi fa sul suo sito forse con troppa fretta: «Essere candidati nel Pd-meno-elle? Equivale a un suicidio politico, a un bacio della morte».

Ora resta da capire chi morirà: se lui, o le pantegane.

Commenti