Guai ai giovani se il Fisco si nutre di invidia sociale

Giancristiano Desiderio

È ufficiale: Vincenzo Visco è invidioso. Sì, uno pensa che la sua ossessione di voler tassare, gli italiani (soprattutto quelli che non stanno dalla sua parte politica) sia frutto di dottrina e di scienza delle finanze di Stato appresa con anni e anni di studio. Invece, il viceministro dell’Economia è semplicemente invidioso. La sua volontà di tartassare chi produce reddito è mossa da questo sentimento ancestrale, amplificato dalla dottrina della cosiddetta «giustizia sociale».
L'invidia è alla base della dottrina socialista di Visco che vuole che tutti siano uguali, ossia tutti più poveri. Diciamo la verità: è un sospetto che abbiamo sempre avuto. Ma ora c’è la conferma scientifica. Per capirlo basta aprire il libro di Helmut Schoeck, L’invidia e la società, pubblicato meritoriamente dalla Liberilibri di Macerata. Il libro risale al 1966 e quando venne pubblicato all'inizio degli anni Settanta da Rusconi fu accolto con la classica «congiura del silenzio» che toccava in quel tempo a tutti i testi che svelano arbitrii, errori, orrori e miserie della dottrina marxista. Ma pur avendo sulle spalle quarant’anni, il libro di Schoeck è attualissimo. Parlando dei giovani che si preparavano a fare il Sessantotto l’autore dice: «Per lo più questi giovani si trovano in una posizione molto buona per mettersi a confronto con altri. Generalmente dicono: “Osservate questa gente, e osservate poi il lusso di questo o quell’altro accumulatore di guadagni”. Essi non guardano però mai ai cantanti di musica leggera, ai dirigenti sindacali e agli autori di successo, e neppure ai divi del cinema. In genere, si sentono urtati dai guadagni dei medici, dei dirigenti d’azienda, degli imprenditori. Invitati a fare il nome di una società del globo che andrebbe loro a genio, in cui la loro coscienza si sentirebbe tranquilla, rispondono con disarmante candore: “Non esiste, ma si direbbe che nell’Unione Sovietica, in Cina o a Cuba le cose vadano meglio che negli Stati Uniti o nella Germania Federale”». Non c’è più il regime sovietico, la stessa Cina sta cambiando, ma Cuba è ancora lì e il ritratto fatto dall’antropologo e sociologo tedesco calza a pennello ai giovani nostrani che militano nel gran mondo noglobal.
Il cardine sociale e antropologico del pensiero egualitario è che è «socialmente intollerabile» che ci possa essere chi guadagna di più e chi guadagna di meno. Quindi bisogna ridistribuire il reddito e fare in modo che si sia tutti uguali in peggio, verso il basso e la mediocrità. Il pensiero di Visco in merito è chiaro. Che cosa sono per lui la piccola e media impresa (vale a dire la spina dorsale dell’Italia)? «Ammortizzatori sociali». Proprio così, alla lettera. Da qui, ossia dall’invidia sociale, l’idea di portare al 20 per cento l’aliquota sulle rendite finanziarie. Dall’invidia nasce l’altra ideuzza di alzare al 20 per cento il prelievo sugli affitti. Quindi la tassa di successione, che fu eliminata dal governo Berlusconi. Non c’e piccolo risparmiatore che possa scappare allo sguardo indagatore e invidioso del viceministro dell’Economia. Non importa se l’invidia elevata a legittimo principio regolatore della vita economica finisce per allontanare la gente dalla possibilità di migliorarsi, di produrre, di intraprendere. La «giustizia sociale» lo ordina: tutti devono possedere di meno.

Tutti, tranne quelli che sono più uguali degli altri e che lavorano per il benessere di tutti i poveri uguali.

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