Guala Closures, vincere «grazie» ai truffatori

nostro inviato ad Alessandria

Dicono gli economisti che il genio italiano mal si adatta ai grandi gruppi. Vero: la ricchezza del Paese è data da una miriade di piccole e medie imprese, che però raramente riescono a trasformarsi in colossi. Sostengono, gli esperti, che per fare impresa in Italia bisogna puntare sui prodotti ad alto valore aggiunto. Vero: difficile competere su prodotti ad alta manualità con Paesi come l’India, il Vietnam o la stessa Romania.
Basta però recarsi in Piemonte per scoprire una felicissima eccezione, eppure poco nota. Già, perché proprio ad Alessandria ha sede una delle poche multinazionali italiane, Guala Closures, che fattura circa 320 milioni euro ed è riuscita a battere agevolmente la recessione. Produce un bene straordinariamente banale: il tappo da bottiglia. Dieci anni fa era una tipica azienda familiare, oggi è il leader mondiale del proprio settore, e dà lavoro in Italia a 500 persone in ben 4 fabbriche, tre al Nord e una a Termoli, a cui bisogna aggiungerne altre 18 in 13 Paesi. Insomma, un impero.
«Ma non abbiamo mai delocalizzato, ovvero non abbiamo mai chiuso qui per aprire altrove», spiega Marco Giovannini, ceo della società e artefice della sua trasformazione. «I nuovi impianti all’estero sono dettati esclusivamente dalla necessità di essere vicini ai produttori di bevande».
Tutto dipende da quali bevande. Anche la Guala Closures produce chiusure per bottiglie di acqua minerale o soft drinks, che però rappresentano solo il 4,5% del suo volume d’affari. Il rimanente 95% è dato dagli alcolici. «Dobbiamo tutto ai truffatori», scherza Giovannini, ma non troppo. Già, perché il successo della sua società nasce dalla necessità di combattere la contraffazione di Whisky, Gin, Vodka; malcostume marginale in Occidente, ma diffuso nelle altre parti del mondo.
Per intenderci: c’è chi riempie bottiglie di marchi famosi con alcolici di pessima qualità, che poi rivende come autentici. Un business che provoca danni ingenti ai produttori di alcolici. «Noi abbiamo trovato il modo di sconfiggere gli adulteratori», afferma Giovannini, che, quando mi riceve in ufficio mi mostra una decina di tappi, diversi l’uno dall’altro a seconda delle esigenze del produttore, ma con una caratteristica comune: permettono al liquido di uscire, ma non c’è modo di fargli compiere il percorso inverso. Non si può più riempire la bottiglia, a meno di rompere il tappo o il vetro.
«Abbiamo ideato dei meccanismi complessi, che richiedono fino a dodici componenti e montati in uno spazio ridottissimo», chiarisce il numero uno di Guala Closures. Microingegneria, che richiede un reparto Ricerca e Sviluppo molto sviluppato.
Oggi la famiglia Guala non è più azionista della Guala Closures. Nel ’98 decise di puntare su altri settori e mise in vendita la divisione tappi, che fu acquistata da un fondo di private equity in collaborazione con lo stesso Giovannini, fino a quel momento grande dirigente di una multinazionale a Parigi. «Fu una sfida che comportava un vero rischio imprenditoriale e una cospicua riduzione di stipendio. In Francia guadagnavo quattro volte di più», ricorda oggi. Chiamò al suo fianco un manager italiano che lavorava in un’altra grande società francese, Franco Bove, e che da allora è il direttore generale.
«La nostra forza è stata quella di portare in una realtà piccola, l’esperienza maturata in grandi società internazionali, senza però tradire i valori e lo spirito della società fondata nel 1954 da Angelo Guala. E che valori: trovammo qui ad Alessandria persone capaci, trasparenti, oneste. Le abbiamo rispettate, loro ci hanno capito», assicura Bove. «Dieci anni fa pochissimi parlavano l’inglese e raramente uscivano dal Piemonte, oggi viaggiano con disinvoltura per il mondo e di loro ci fidiamo ad occhi chiusi».
La Guala Closures ha anche tentato l’avventura di Borsa, con un certo successo. «Ma poi ci siamo resi conto che il report trimestrale agli analisti condizionava troppo le nostre scelte e abbiamo deciso di uscire», spiegano all’unisono Giovannini e Bove. Una scelta fortunata: il delisting è avvenuto nel 2008 un mese prima del grande crollo.
Nel frattempo la Guala Closures ha continuato a guardare avanti, tentando di anticipare i tempi. Qualche anno fa acquistò un’azienda che produceva tappi da vino in alluminio, fatturava 3-400mila euro, ora genera un giro d’affari da 45 milioni. «Il motivo? Semplice.

Al di fuori di Italia e Francia il vino, anche di qualità, non viene più imbottigliato con tappi in sughero», conclude Giovannini. Lui e Bove non si sono mai pentiti di aver preferito Alessandria a Parigi. Hanno trovato nel tappo la loro cifra professionale, al di là dei luoghi comuni.

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