Guarguaglini si dimette Una svolta necessaria decisa da pm e governo

Il presidente di Finmeccanica lascia e tutte le sue deleghe vanno all'ad Orsi. Pansa entra in consiglio. Resta il nodo Selex

Guarguaglini si dimette Una svolta necessaria decisa da pm e governo

Finmeccanica non fa eccezione. Come per la Fiat, che ha iniziato per prima, o per le grandi banche, che lo hanno fatto negli ultimi 12 mesi, anche il campione nazionale della difesa volta pagina cambiando il management che ne ha segnato la storia per quasi l’intero ultimo decennio. Anche per Finmeccanica finisce un’era economica, si chiude un’epoca segnata da successi e fasti dei quali la sconvolgente attuale crisi finanziaria ha però contribuito a mostrare tutte le fragilità possibili e immaginabili. Ma in sovrappiù, per il gruppo di Piazza Montegrappa, c’è stato il peso dell’inchiesta giudiziaria su frodi fiscali e favori ai politici. Con tutte le conseguenze del caso in termini reputazionali, soprattutto per il contributo dato dalle intercettazioni telefoniche. Per il presidente Pier Francesco Guarguaglini, in particolare, pesano il coinvolgimento della moglie, Marina Grossi, al vertice della controllata Selex, e ancor più quello del suo storico braccio destro, Lorenzo Borgogni.

Le dimissioni di ieri di Guarguaglini sono una summa di tutto ciò. In un intreccio complesso da cui, comunque la si veda, balza all’occhio ancora un volta come in questo Paese le vicende giudiziarie svolgano un ruolo decisivo nelle svolte politiche, economiche, finanziarie. E forse non è un caso che la caduta di Guarguaglini - così come la seconda ondata di intercettazioni telefoniche - sia arrivata a un paio di settimane dall’insediamento del governo Monti. In quello precedente, che lo aveva confermato alla presidenza meno di 7 mesi fa quando l’inchiesta era già nota, ancorché privandolo delle deleghe operative, l’ex numero uno godeva di grandi estimatori, a cominciare da Gianni Letta. In altri termini, dopo il governo è già cambiato anche il vertice della seconda azienda pubblica (dietro l’Eni). Anch’esso con una procedura irrituale.

Ma Guarguaglini è caduto anche perché la sua Finmeccanica ha mostrato quelle debolezze e quelle fragilità che, fin che il vento tirava, erano diluite. Poi, quando la crisi ha superato i livelli di guardia, l’equilibrio è saltato. Guarguaglini ha iniziato a cadere nella scorsa primavera, quando gli è stato affiancato un manager con pieni poteri, Giuseppe Orsi. L’ex presidente, abituato non solo a comandare, ma anche a far passare dalla sua scrivania ogni minimo dettaglio aziendale e dal suo ufficio ogni possibile interlocutore, non poteva durare molto. E mentre i pm infierivano, Orsi - quindici giorni fa - presentava al mercato una trimestrale con 750 milioni di svalutazioni e un piano di cessioni: corrispondevano a rinnegare la cavalcata di acquisizioni e raccolte di ordini con le quali Guarguaglini, nei suoi 9 anni al vertice, aveva portato il gruppo fino a 21 euro per azione. Ieri il titolo ne valeva 3,3.

Ora c’è solo da sperare che la svolta permetta al gruppo di rafforzarsi e restare sul mercato e non venga invece cavalcata strumentalmente per impoverire un’azienda a maggioranza pubblica. Magari nell’interesse esclusivo di altri.

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