Quando è a bordo della due ruote, il ciclista diventa un Padreterno. Si sente il «padrone del mondo» scriveva Italo Calvino. Per gli sciami di ciclisti, via Verdi non è a senso unico. Vengono da dritta e manca come palle da tennis; per attraversarla la testa gira quanto in Coppa Davis. Massimo Colombo esce da un bar: 49 anni, gelato al cioccolato, architetto, Porsche. «Odio le biciclette. Le toglierei tutte. Non c’è palo in via Verdi dove non ce ne sia legata una e sarebbe questo il decoro dell’arredo urbano? Eppoi sono insidiose. Spesso esco dalla piazzetta dove c’è l’Intesa San Paolo. D’istinto guardo solo a destra, ma il ciclista viene anche da sinistra. A lui non una sanzione, ma se ne metti sotto uno, la colpa è tua». E’ la prima di una serie di voci. Il corridore va multato se non rispetta la legge, perché la sua «leggerezza» può trasformarsi in una letale onda d’urto.
Sul marciapiedi Davide Fusaro, 35 anni, è l’unico a portare il ciclo a mano, perché sta passeggiando con una ragazza. Altrimenti sarebbe in sellino? «Certo - confessa -. Non ci poniamo limiti di viabilità. Ci sentiamo vittime, per cui d’altro canto ci arroghiamo il diritto di aver ragione. Faccio 6mila chilometri in un anno, motivo che mi fa credere di potermi permettere tutto. Oggi è un caso che conduca la mia cicli a mano, anche per precauzione: me ne hanno rubate cinque. Milano è la città ideale per le due ruote. Piccola nel centro, piatta nell’estensione, eppure non c’è la cultura della bici». Mai preso un vaff...? «Quattro o cinque al giorno. Non m’importa».
Mancherà la cultura, ma anche in piazza della Scala, tra i bimbi con palloncini le biciclette vanno in forsennata gimcana. Un ragazzo arriva quasi all’androne della Galleria Vittorio Emanuele e addocchia due vigili. Stoppa. Scende. Allora vi temono? Chiediamo al vigile urbano, con pizzetto grigio, matricola 1453. Non vuole dire il nome. «Non ci temono per niente, ma un patto è chiaro: nel resto della città passi, ma niente bici in Galleria per rispetto del monumento».
Per i dueruote indisciplinati, non c’è verbale? «Sì, dovrebbe esserci, ma siamo tolleranti perché consapevoli che la città non è a loro misura. Poi sono molto polemici, se tiri fuori il blocco, si rifiutano di essere sanzionati. A volte diventano anche un tantino sfottenti. Scappano gridando: prendimi la targa se ci riesci!». Sorridono, ma invece la gente da loro pretende la mano pesante di una giusta «benedizione».
In piazza Duomo, verso sera, il sistema biciclettante regna. Tra i colombi e i turisti sotto scatto foto, le ruote si inframmezzano con menefreghismo. «Mi hanno rubato la bici da un anno - racconta Sebastiano Di Santo, 29 anni - e non l’ho più ricomprata, perché è impossibile usarla. Non per la mancanza di piste ciclabili, ma in quanto le vie del centro sono tutte un pavè, così è un continuo gonfiar di gomme. Ora che ragiono da pedone, non c’è niente più di un ciclo senza disciplina che mi urti il sistema nervoso». Quindi sarebbe necessario tirare un freno.
I «pedoni sul sellino» svettano in via Dante, facendo girare le raggiere ecologiche: ma è ecologico, ovvero rispettoso dell’ambiente che hanno intorno, il modo di correre, schivare, affiancare il vero pedone? «Non sono proprio un fastidio - ammette Riccardo Camerini - ma penso che in un’isola pedonale non dovrebbero passare proprio per niente». Vanno giù col mattarello Melania, 40 anni, insieme alla figlia Alice, 8 anni e mezzo, che si sentono pestare i piedi ad ogni metro. «Ci scocciano e soprattutto sono proprio un danno perché corrono senza moderazione. In qualche modo vanno limitati».
Alcuni pedalano costringendo il cane a stargli dietro e il guinzaglio è una corda che rischia di far inciampare più di qualche camminatore soprapensiero. Lo ammette anche la trentanovenne Emanuela C. che aspetta un taxi. «Sono una bicidipendente spericolata, però riconosco i nostri difetti. Quando siamo sul sellino ci sentiamo a piedi e non rispettiamo niente. Rompiamo più delle automobili».
Su questo concetto, c’è un’ovazione da parte dei due tassisti Mario Laurenzi e Antonio Petrosino. «Viaggiare sulla ciconvallazione 90-91 è un’esperienza ansiogena. Rischi sempre di mettere sotto due o tre «campioni», se non stai attento, perché per loro non esiste codice etico.
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