La guerra che dobbiamo accettare

Sulla guerra scatenata dagli islamo-fascisti all’Occidente, le cui caratteristiche sono state ieri mirabilmente descritte da Paolo Guzzanti, si deve tornare e ritornare. L’opinione pubblica, anche la più attenta alle ragioni occidentali, è incerta, confusa. Prevale un naturale sentimento di rimozione dei possibili rischi. In fin dei conti sono sessanta anni che si vive in pace. Anche la Guerra fredda, con gli angosciosi tormenti su un incombente olocausto nucleare, è finita senza conflitti globali. Perché mai un pugno di fanatici metterebbe in discussione il nostro modo di vivere?
Al di là degli appelli attivi all’irresponsabilità che arrivano da pacifisti come Gino Strada, il cui comportamento eroico di chirurgo di guerra rende più autorevole un messaggio dissennato, i sondaggi testimoniano che parte della popolazione italiana, moderata, realistica, si chiede che cosa ci facciamo in posti tanto lontani come l’Afghanistan. Eppure è proprio la presenza occidentale in quell’area dell’Asia centrale che consente di mantenere l’alleanza con il Pakistan e senza questa alleanza (e la collaborazione dei servizi di quel Paese) oggi anche in Italia si piangerebbero migliaia di morti per l’esplosione di aerei in volo tra Inghilterra e Stati Uniti.
In una guerra globale come quella che gli islamo-fascisti hanno dichiarato all’Occidente tutto si tiene: gli atti degli individui si legano a quelli dei movimenti armati e degli stati-terroristi. Il problema non è farsi prendere da isterismi bellicisti, che tra l’altro non aiuterebbero a cogliere le contraddizioni presenti nella jihad, nella guerra santa islamista. Ma una cosa è tenere i nervi saldi, un’altra chiudere gli occhi sulla realtà: una parte del mondo islamico ci ha dichiarato guerra, vuole distruggere Israele, vuole subordinare alla dittatura religiosa tutte le terre abitate dai musulmani, vuole che l’emigrazione islamica viva secondo leggi religiose e non quelle degli Stati ospitanti. Per questi obiettivi si arma, uccide e si prepara a compiere stragi su scala sempre più larga. Dietro questi obiettivi vi sono stati, e non solo movimenti, che pagano, addestrano e guidano i terroristi.
È la consapevolezza di questo scenario che pare mancare al nostro governo: scelte come quelle proposte su emigrazione e cittadinanza, motivate da sentimenti umanitari e democratici in altri momenti anche condivisibili, appaiono oggi assai azzardate, come mostra anche l’esperienza britannica. Segnali di debolezza e accondiscendenza che sono stati lanciati in queste settimane, non fanno che consolidare le tendenze belliciste del fronte islamo-fascista. L’Italia non può non tenere conto anche dei propri interessi nazionali, per esempio nei rapporti con l’Iran: ma una cosa è avere consapevolezza di questi interessi, un’altra trasformare esigenze economiche in cedimenti. In generale, poi, la coscienza della drammaticità dello scenario deve imporre alle grandi forze nazionali che sostengono il governo Prodi di non subordinare la nostra politica estera ai giochetti per tenere dentro questo o quel protagonista minore, di orientamento estremista, interessato solo a un po’ di spazio sulla ribalta.

La politica è l’arte del possibile, dunque anche quella di vezzeggiare un Oliviero Diliberto, se no non c’è più la maggioranza al Senato: ma quando la situazione si fa drammatica, la politichetta deve lasciare spazio a una politica ispirata dagli interessi nazionali. Anche a costo di chiudere un’esperienza di governo sostituendola con scelte d’emergenza che richiedano l’apporto delle grandi forze nazionali collocate all’opposizione.

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