Gianluigi Nuzzi
da Milano
Chi lo conosce bene dice che Adamo Bove, il responsabile della security governance di Telecom Italia che venerdì si è buttato da un ponte sulla tangenziale del Vomero a Napoli, vivesse braccato da un'ossessione. Quella di finire indagato da qualche procura che tra Milano e Roma sta scandagliando gli accessi illegali alle banche dati dei tabulati Tim e delle intercettazioni. E quando con l'arresto di Marco Mancini, capo della prima divisione del Sismi, i carabinieri hanno bussato alla Telecom per perquisire uffici di insospettabili e interrogare testi in Tribunale per nove ore, beh quell'ossessione l'ha schiacciato. Convinto di essere ormai abbandonato dai manager del gruppo telefonico. Da qui la scelta estrema.
È questa la ricostruzione che sta trovando più credito se non già tra gli inquirenti, almeno tra i colleghi di lavoro sul motivo che ha portato Bove a buttarsi tra le auto in transito sulla tangenziale partenopea. Ma i segreti di quest'uomo, che gestiva quella massa enorme di dati racchiusi negli archivi informatici del gestore mobile, è racchiuso tra le carte di due inchieste. A Roma quella del sostituto procuratore Pietro Saviotti che dopo aver saputo del gesto di Bove ha mandato subito la polizia postale a perquisire gli uffici del manager sia a Roma che a Milano. Cosa abbiano trovato ancora non si sa. Ma gli inquirenti se ne sono andati via con agende, floppy e memorie informatiche. Carte che serviranno nell'indagine su alcune presunte violazione delle banche dati compiute per conto di 007 privati. L'altra inchiesta, analoga a quella di Saviotti ma di portata ben più ampia e che ha portato all'inizio dell'anno una verifica interna sul suo ufficio, è quella del Pm Stefano Civardi su Telecom, la violazione delle banche dati e i rapporti tra l'ex capo sicurezza Giuliano Tavaroli e una serie di interlocutori.
In entrambe le indagini, però, Bove non risulta indagato. Anche se le verifiche interne, contrariamente a quanto riportato ieri da alcuni quotidiani, non erano state disposte dal suo ufficio sulla fuga di notizie sui tabulati ma sembra, su eventuali impiegati o funzionari infedeli che Bove stesso avrebbe avuto alle sue dipendenze. C'è poi l'attività professionale di Bove. Presente e soprattutto passata. Dalla sua scrivania infatti transitava una mole così consistente di dati di interesse per le autorità giudiziaria, ovvero i tabulati e relative intercettazioni, che appare troppo dispersiva un'iniziale analisi su questo fronte senza aver prima un qualche indizio.
Le indagini su questo misterioso suicidio sono infatti coordinate dal Pm Giancarlo Novelli della procura di Napoli che ha già disposto l'autopsia del corpo del manager e ha fatto raccogliere dagli agenti della squadra mobile partenopea le deposizioni di diversi automobilisti che sono stati testi oculari della tragedia. Bove ha lasciato l'auto parcheggiata con le frecce lampeggianti e si è gettato nel vuoto. Fine. Gli investigatori ritengono secondaria la depressione che avrebbe afflitto Bove da qualche tempo. Novelli intende interrogare già da domani come testimoni sia il fratello Guglielmo, avvocato interno di Telecom, sia un gruppo di colleghi.
Il Pm sembra quindi interessato a ricostruire la carriera del manager da quando lasciò la Digos per arrivare in Telecom, ai suoi rapporti con politici di primissimo piano, a un vice capo della polizia che avrebbe sostenuto la professionalità di Bove ai piani alti del colosso telefonico. Sino infine al rapporto con ex colleghi come Tavaroli, indagato dalla procura di Milano per le intercettazioni illegali.
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