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La guerra del mondo e la fine di un'era: come leggere il '900

Lo storico scozzese Niall Ferguson interpreta il XX secolo come l'età della violenza e propone una lettura nuova dei conflitti che lo hanno agitato. Gli scenari per non ripetere le peggiori catastrofi

La guerra del mondo e la fine di un'era: come leggere il '900

La differenza appare lieve, perfino vaga. Eppure «guerra del mondo» e «guerra mondiale» non sono la stessa cosa. E Niall Ferguson, storico scozzese di valore assoluto, ha costruito la tesi della sua ultima fatica «XX secolo - L'età della violenza» (Mondadori, pp. 707, euro 35) proprio sulla lettura della guerra mondiale come «guerra del mondo». Che peraltro dà il titolo all'edizione originale in inglese, «War of the world». Perché di tale si è trattato, secondo Ferguson: un conflitto che non ha coinvolto solo regimi totalitari e democrazie ma una bufera alla quale ha preso parte tutto il mondo, alimentato da forme di odio, diverse e purtroppo infinite.
La «guerra del mondo» è quella che mette l'un contro l'altro la razza, la dominazione, la volontà di potenza. La «guerra del mondo» non è soltanto quella combattuta con le armi e i Tiger, gli stukas e i sommergibili, l'atomica e i missili. Vestigia di epoche lontane, forieri di scenari bellici futuri. La «guerra del mondo» è combattuta anche con invenzioni devastanti: le camere a gas. E con mezzi alla portata di ogni soldato ma, forse, solo stavolta utilizzati in modo sistematico: lo stupro. E non è un caso che le violenze sessuali contaminino le razze, il possesso brutale, selvaggio prima di dare la morte oppure pedaggio per aver salva la vita è diventato uno dei tratti di tutte le guerre del XX secolo. Nel secondo conflitto mondiale come in Bosnia, in Ruanda e in Sudan, qualche decennio dopo. Solo per citare i più recenti.
La «miscegenation», ovvero l'intreccio di varie razze si è rivelato uno dei tratti principali di questi conflitti, la volontà di affermazione di un ceppo è stata spesso la mossa scatenante, il dominio del mondo la conseguenza inevitabile. E proprio lo scontro fra etnie, il varo di quella pulizia etnica che nel corso del secolo ha preso corpo e dai mattatoi di Dachau e Auschwitz è stata esportata ad altri teatri per divenire ricorrente in quasi tutte le guerre, rappresenta la chiave che ha determinato un modo diverso di aggredire il nemico e una sorta di maggiore piacere nel debellarlo. La «guerra del mondo» è quella che finisce con l'atomica sui civili, preceduta da bombardamenti sulle città, altro che obiettivi strategici. Trattasi di sterminio, insomma. Ma la «guerra del mondo» è anche quella che, secondo Ferguson, non è finita nel '45 ma molto dopo, nel '91, quando il crollo del comunismo ha sgretolato il muro di Berlino e con esso la contrapposizione quasi cinquantennale di due blocchi con annessi i loro paesi satelliti.
La «guerra del mondo» è quella che ha portato a combattere senza sosta prima con le armi, poi con le armi e le diplomazie, infine solo con le diplomazie, ma la consapevolezza che un nonnulla sarebbe bastato a scatenare un nuovo putiferio dal quale nessuno sarebbe sopravvissuto è sempre rimasta. La «guerra del mondo» è quella che è finita con la post-modernità, quella che viviamo oggi, all'insegna della globalizzazione, della quale insistiamo a voler individuare difetti e colpe. Come se si trattasse di un'invenzione della quale poter fare a meno, dalla quale poter tornare indietro.
Oggi che sta per compiersi il primo decennio del XXI secolo la «guerra del mondo» è forse finalmente finita. Ma l'incubo resta all'orizzonte, come i peggiori spauracchi che fingono di allontanarsi ma non se ne vanno mai del tutto. Ci salverà Ferguson. E chi, leggendolo, acquisirà la consapevolezza di ciò che è accaduto, comprendendo il disastro creato per non doverlo mai più concepire neppure con il pensiero. La guerra, anche se non del mondo, viene oggi spinta ai margini dei confini controllati e negli ultimi decenni è stata emarginata alle zone sempre meno cruciali. Potrebbe non bastare: l'odio etnico non è mai sopito, quello religioso è un'insidia sempre alle porte.
La corsa agli armamenti che aveva caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta finalmente oggi sembra essersi fermata: la guerra si combatte a colpi di relazioni commerciali, di Pil, di valute forti e di esportazioni. Di soft power insomma. Ma l'incubo corre sul filo: la «guerra del mondo» ha sconvolto il pianeta portandolo sul punto di non ritorno.

È servito un miracolo, ma i miracoli non accadono ogni secolo.

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