La chiave segreta della vittoria

Negli ultimi giorni, quel che non è accaduto in Iran è importante almeno quanto è accaduto

La chiave segreta della vittoria

Ieri mattina all'alba il servizio di social media in lingua persiana di Israele ha pubblicato un annuncio insolito: «Cari cittadini di Teheran, nei prossimi giorni l'esercito israeliano continuerà i suoi attacchi contro obiettivi militari nella regione... Per garantire la vostra sicurezza personale, vi chiediamo di stare lontani dagli impianti di produzione di armi, dai quartieri generali militari e dalle istituzioni di sicurezza affiliate al regime».

La ricezione di questo messaggio è stata il motivo per cui i comandanti delle Guardie Rivoluzionarie sopravvissuti alle azioni di eliminazione di Israele hanno accettato il doppio cessate il fuoco offerto dall'inviato di Trump in Qatar. Perché a quel punto nessuno nella gerarchia iraniana poteva ignorare il fatto che gli agenti israeliani Kidon («spada») vivevano già in incognito nella comodità borghese di Teheran, coperti da molti complici locali.

In realtà solo il cessate il fuoco con Israele era ancora da concordare, perché l'ampio preavviso fornito da Teheran di un proprio attacco missilistico contro la base di Al-Udeid del Qatar, utilizzata dagli USA e da altre forze straniere, era un segnale chiaro che i governanti iraniani preferivano accettare la perdita delle loro vaste installazioni nucleari, piuttosto che provocare ulteriori attacchi statunitensi.

Negli ultimi giorni, quel che non è accaduto in Iran è importante almeno quanto è accaduto. Per cominciare, nessuno sul campo è stato ucciso dai bombardamenti statunitensi, perché gli attacchi contro gli impianti di gassificazione, arricchimento e armamenti di Isfahan, Natanz e Fordow erano del tutto attesi, tanto che 16 camion sono arrivati a Fordow per portare via botti di acciaio colme di uranio altamente arricchito prima dei bombardamenti. Poiché i camion sono stati individuati molto prima che potessero essere caricati e portati via, si deve presumere che il loro arrivo sia stato consentito per rivelare finalmente la posizione ultra-segreta che gli ispettori dell'Autorità Internazionale per l'Energia Atomica sospettavano da tempo, ma che non erano ancora riusciti a individuare. Poiché l'uranio, anche se altamente arricchito, non produce un'arma, nessuno teme che dal materiale portato via possa uscire la bomba, non senza l'acquisto e l'installazione di molte attrezzature.

A quel punto, l'unica incognita rimasta per gli iraniani era se Fordow sarebbe stata attaccata da ondate successive di cacciabombardieri israeliani o da bombardieri pesanti B-2 con bombe GBU-57 a penetrazione terrestre che attaccavano anche il livello sotterraneo profondo del vasto impianto di centrifugazione di Natanz, mentre i missili da crociera lanciati da un sottomarino andavano a colpire l'impianto di Isfahan già bombardato dagli israeliani. Pertanto, tutte e tre le località sono state completamente evacuate e nessuno a terra è rimasto ucciso o ferito.

Un'altra e più importante azione è stata evocata ma non portata a termine: la distruzione da parte di Israele del terminale di carico delle petroliere iraniane dell'isola di Khark. Una struttura fondamentale, fonte di quella valuta estera con cui Teheran ha pagato il propellente per razzi cinese, gli strumenti nordcoreani per la modellazione dell'uranio e tutto il resto necessario per rendere l'Iran una potenza dotata di armi nucleari. Il Golfo Persico è così poco profondo che le grandi petroliere, con le loro chiglie, non possono avvicinarsi alla costa e devono invece imbarcare il petrolio in terminali offshore abbastanza lontani per raggiungere le profondità richieste.

Per Israele, incendiare il terminal di Khark sarebbe stato il più semplice degli attacchi aerei, con un grande ritorno economico, perché le patetiche riserve di valuta estera dell'Iran si sarebbero esaurite in pochissimi giorni senza i bonifici inviati alla banca centrale iraniana non appena ogni petroliera viene caricata. Ma l'isola di Khark non è stata attaccata, perché era più utile mantenerla intatta come ostaggio per il buon comportamento dell'Iran con i suoi vicini del Golfo Persico. Il che include l'astensione dell'Iran dall'attaccare in qualsiasi modo gli Emirati Arabi Uniti e il gigantesco terminale petrolifero dell'Arabia Saudita a Ras Tanura, dove ogni giorno vengono caricati sulle petroliere più di otto milioni di barili di greggio. Si tratta di quasi un decimo della produzione globale, sufficiente a far salire i prezzi del petrolio del 20%, se non di più, in caso di interruzione.

Può sembrare bizzarro che Israele si sia dovuto trattenere per proteggere l'Arabia Saudita, che ha doverosamente condannato Israele. Ma oltre alla crescente cooperazione de facto, iniziata con l'autorizzazione di El Al a sorvolare l'Arabia a partire dal 31 agosto 2020, se le esportazioni di petrolio saudita venissero interrotte il prezzo della benzina aumenterebbe drasticamente negli Stati Uniti, indebolendo gravemente il presidente Trump e rinforzando il fronte degli isolazionisti, l'unica reale opposizione a Trump.

La parvenza di Parlamento iraniano guidato da Mohammad-Bagher Ghalibaf, ha appena votato «per chiudere lo Stretto di Hormuz» a tutti gli esportatori tranne l'Iran, cioè Kuwait, Irak, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Perfino le navi da guerra iraniane, per lo più inservibili, possono farlo facilmente: basta attaccare alcune petroliere finché tutte le altre non smetteranno di caricare petrolio per l'esportazione. Se ciò accadesse, i prezzi del petrolio esploderebbero a livello globale. Ma finora i governanti iraniani hanno ignorato il loro Parlamento, sapendo che Israele avrebbe prontamente bloccato le esportazioni di petrolio dell'Iran.

Un'altra cosa che non è accaduta è la pianificazione da parte degli Stati Uniti di qualsiasi forma di intervento militare in Iran, per non parlare di un'invasione. Il fatto che l'Iran sia un Paese molto grande, con Teheran a mille chilometri dalla più vicina costa invadibile, è un ostacolo molto importante - ma ora è del tutto irrilevante. Non solo la frangia degli attivisti contro la guerra, ma anche i militaristi di destra hanno finalmente assorbito le lezioni del Vietnam, dell'Afghanistan e dell'Irak II nel 2003: gli Stati Uniti possono distruggere qualsiasi obiettivo, ma non possono operare con successo in nessun Paese per proteggere o sconfiggere il suo governo, se non altro a causa di un'inguaribile carenza di intelligence accurata.

Ormai chiunque conti dentro o fuori Washington, comunque la pensi, sa che gli Stati Uniti hanno combattuto il Vietnam del Nord per tenere il potere cinese fuori dall'Indocina, un obiettivo degno di nota, raggiungibile molto più facilmente armando i comunisti vietnamiti, fortemente anticinesi, invece di combatterli; sanno che l'Irak è stato invaso nel 2003 per rimuovere l'assassino Saddam Hussein, senza riconoscere che la sua brutale dittatura era l'unico ostacolo a una guerra civile etno-religiosa su più fronti; e sanno che l'Afghanistan avrebbe dovuto essere abbandonato non appena i campi di Al Qaeda fossero stati demoliti nel dicembre 2001, invece di rimanere per altri due decenni. Solo la prima guerra in Irak del 1991 ha avuto successo, perché gli Stati Uniti si sono prontamente ritirati non appena le forze di Saddam Hussein sono state espulse dal Kuwait. Bush padre aveva resistito fermamente a tutti gli appelli a liberare l'Irak dal suo crudele dittatore, il quale ha poi attirato suo figlio nella rovinosa guerra del 2003. Sapeva bene che non avrebbe dovuto provarci, perché gli alleati arabi che aveva arruolato per combattere l'Irak si erano tutti ritirati non appena alla liberazione del Kuwait.

Ecco perché nessuno a Washington è disposto a discutere di «cambio di regime» e tanto meno ad agire in qualche modo per realizzarlo. Sì, la popolazione iraniana è stata terrorizzata dai fanatici religiosi fin dal febbraio 1979 e si è impoverita notevolmente, con avventure nucleari molto costose e ormai fallite. Ma per ottenere un sostegno esterno, devono prima agire per salvare se stessi, insorgendo per attaccare i loro oppressori.

Questo scenario era semplicemente impossibile prima di questa guerra (come ha spiegato Trotsky, le rivolte popolari come la presa della Bastiglia nel luglio 1789 sono finite quando è arrivata la mitragliatrice). Ma poiché la guerra contro Israele ha portato gli israeliani a Teheran per attaccare i loro oppressori a casa loro, la popolazione di Teheran può ora agire. Né tutte le forze armate combatterebbero per l'ayatollah Khamenei e il suo regime. I membri dell'Artesh, l'esercito regolare iraniano, hanno subito un forte declino in termini di status e di mezzi con l'ascesa delle Guardie rivoluzionarie, con i loro ausiliari arabi, a partire da Hezbollah. I quali hanno ricevuto molti miliardi a spese di tutti gli iraniani, compreso l'Artesh. Quindi una rivolta di successo non è affatto impossibile, ma richiede ancora la scintilla vitale che può venire solo da pochi audaci ribelli. Ad ogni modo non dagli stranieri, per quanto ben intenzionati.

Non molto tempo prima che il presidente Trump decidesse di ignorare gli anti-interventisti del suo stesso movimento MAGA per unirsi a Israele nella lotta contro l'Iran, il suo ex strettissimo collaboratore Tucker Carlson aveva solennemente avvertito che «la prima settimana di una guerra con l'Iran potrebbe facilmente uccidere migliaia di americani e far crollare la nostra economia. Un attacco all'Iran potrebbe facilmente diventare una guerra mondiale. Perderemmo».

Ora, temere la sconfitta per mano dell'Iran non è prudenza, ma pura isteria, spiegabile in un uomo intelligente come Carlson solo attraverso le lenti deformanti dell'antisemitismo suo e di altri opinionisti seguitissimi su YouTube, che dipingono i sionisti ebrei americani come spietati manipolatori che tradiscono gli interessi americani per Israele. Dimenticano che sono state le forze armate israeliane a cacciare l'Unione Sovietica dal Medio Oriente, sconfiggendo gli eserciti arabi che aveva addestrato e rifornito, con grande vantaggio per gli Stati Uniti.

Tuttavia i suoi seguaci isolazionisti non hanno mai avuto la possibilità di impedire a Trump di entrare in lotta a fianco di Israele. Le sue forze armate altamente efficienti e l'apparato di intelligence unico nel suo genere hanno suscitato il suo entusiasmo. Trump è stato convinto a partecipare alla lotta quando gli è stato assicurato dal primo ministro israeliano Netanyahu, ormai un collaudato leader di guerra, che tutto ciò che sarebbe stato necessario per finire il lavoro sarebbe stato un raid di sette bombardieri con 14 bombe e 24 missili da crociera. Nessuna truppa a terra. Nessuna vittima. E nessuna bomba nucleare per l'Iran.

Se il cessate il fuoco tra Iran e Israele reggerà, a Trump non sarà negato un premio Nobel per la pace o più giustamente due, per marcare la

differenza con Barack Obama, che ha ottenuto il suo prima di fare il bene o il male come presidente. Se non reggerà, potrà comunque aspettarsi un premio Nobel per aver privato l'Iran dell'arma nucleare che stava per assemblare.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica