Il dilemma di Bibi sul nemico Nasrallah: attaccare subito o salvare l'economia

Il premier pronto a colpire. Ma dopo Gaza, il Pil di Israele è crollato e si rischierebbe la bancarotta

Il dilemma di Bibi sul nemico Nasrallah: attaccare subito o salvare l'economia
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Salvare il proprio potere o l’economia del paese? È il dilemma con cui deve far i conti il primo ministro Benjamin Netanyahu tornato, ieri, ad agitare lo spettro di un’imminente invasione del Libano. O perlomeno di quei territori a sud del fiume Litani dove - stando alla risoluzione 1701 votata dal Consiglio di Sicurezza Onu al termine della guerra del 2006 - non vi dovrebbero essere miliziani di Hezbollah. Ieri durante la riunione del suo gabinetto Bibì ha promesso che la situazione nel nord di Israele «non continuerà» aggiungendo di puntare a un «cambiamento nell’equilibrio di potere» sul confine e di voler fare «tutto il necessario» per garantire il ritorno a casa dei 60mila residenti del nord evacuati in zone al riparo dai missili di Hezbollah. Durante la riunione sarebbe stata discussa anche una mozione che definisce il ritorno a casa di quei 60mila un «obbiettivo di guerra». Tutti elementi che fanno pensare a un sempre più imminente allargamento del conflitto. La necessità di un’operazione di terra per costringere Hezbollah ad abbandonare i trenta chilometri che separano il corso del fiume Litani dal confine con Israele è sostenuta, del resto, sia dal ministro della Difesa Yoav Gallant, sia da quei vertici militari che hanno più volte contestato le scelte di Netanyahu sul fronte di Gaza.

Stando a quanto rivelato dalla tv Canale 13 già a marzo il generale Halevi, Capo di stato maggiore di Tsahal, avrebbe ordinato al generale di brigata Chico Tamir la preparazione dei piani per l’invasione. Ma pur disponendo sia del «casus belli» - ovvero la necessità di far tornare alle proprie case 60mila israeliani - sia del consenso dei vertici militari Bibì deve far molta attenzione. Scatenando un conflitto con Hezbollah riuscirebbe a rimandare a tempo indeterminato sia le commissioni d’inchiesta sul 7 ottobre sia le indagini per corruzione, ma rischierebbe di mettere a dura prova la tenuta di esercito ed economia.

Dopo quasi un anno di guerra a Gaza e di continua mobilitazione al nord, le migliori unità dell’Idf sono allo stremo. Per allargare la guerra al Libano, continuando a combattere a Gaza e a controllare la Cisgiordania e il confine con la Siria, «Bibi» dovrebbe mobilitare tutti i riservisti portando sotto le armi 700mila uomini. A quel punto rischierebbe di far deflagrare il latente conflitto tra i vertici di Tsahal e quei partiti di estrema destra che continuano a garantire - con l`avvallo del premier - l`esenzione dall`arruolamento di 60mila giovani ultra-ortodossi. E ancora peggiori sarebbero i contraccolpi economici.

Stando ai dati pubblicati ai primi di settembre dall`Ocse, gli 11 mesi di guerra con Hamas hanno provocato una brusca contrazione del prodotto interno lordo con una caduta del 4,1% nei mesi successivi al 7 ottobre e un`ulteriore discesa dell`1,1% e dell`1,4% nei primi due quadrimestri di quest`anno. Una contrazione direttamente legata a un costo bellico che stando alla Banca d`Israele supererà nel 2025 i 67 miliardi di dollari bruciando ampiamente i 14 miliardi e mezzo di aiuti militari garantiti annualmente da Washington.

E ancor più deleterio rischia di rivelarsi il protratto richiamo al fronte riservisti che - secondo gli stessi dati - avrebbe già provocato la chiusura di 60mila aziende per mancanza di manodopera. Per mantenere il potere «Bibi» rischia insomma di mandare in bancarotta il paese.

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