Mentre a Downing Street si consumavano i colloqui, Mosca ha scelto la sua partitura: un sussurro in pubblico, parole taglienti in privato e, soprattutto, un messaggio che non ammette repliche: la partita sull'Ucraina finirà alle sue condizioni.
A segnare la linea è Dmitry Peskov, che nel briefing di ieri ha certificato ciò che nelle ultime settimane circolava solo per vie informali: «tutte le parti coinvolte comprendono ormai la necessità di lavorare in silenzio». Un avvertimento più che una constatazione. Per il Cremlino, «la pace non si negozia sui social né davanti alle telecamere», e men che meno rivedendo le sue due condizioni non negoziabili: «Il Donbass resta russo e Kiev nella Nato non entrerà». Il summit Putin-Trump? «Non prima del 2026».
Nel mosaico della diplomazia parallela spunta Kirill Dmitriev, emissario speciale del Cremlino, che formalizza ciò che a Mosca ripetono da settimane. In un documento dai toni polemici sostiene che «l'Europa, sotto la guida di Biden, ha imboccato la strada del declino economico e civile» e che ora «i burocrati di Bruxelles fingono di non volere interferenze dagli Usa». La conclusione, per Dmitriev, è netta: «è il momento di ascoltare Paparino Trump e salvare l'Ue». La linea russa è chiara: la mediazione sul dossier, qualunque esso sia, dovrebbe essere affidata esclusivamente a Washington, non all'Unione europea, considerata irrilevante. A rafforzare il messaggio interviene anche la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, secondo cui «la nuova strategia americana di sicurezza nazionale, incoraggiata da Mosca, sarà utile anche per Kiev e costringerà alla prudenza il partito europeo della guerra».
Sul fronte interno è Putin a prendersi la scena. Davanti al Consiglio per lo sviluppo strategico, ha respinto con decisione ogni illazione sulla fragilità dell'economia non di guerra: «La crescita del Pil raggiungerà l'1% entro fine anno» e l'inflazione «sarà intorno o inferiore al 6%». Non un ruggito, ma un messaggio chiaro: la Russia vuole mostrare di saper reggere a lungo, sul campo (dove lo zar annuncia nuovi investimenti militari) e fuori.
In parallelo, Mosca ha annunciato l'incriminazione per genocidio di 41 politici e militari ucraini, dal predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko, fino agli attuali vertici militari. Una mossa utile al Cremlino per rafforzare la narrativa di una guerra difensiva, iniziata nel 2014 e oggi giunta alla sua fase conclusiva.
Curioso che il nome di Zelensky non compaia nella lista: forse una porta socchiusa utile nei futuri negoziati.Sul terreno il conflitto si inclina sempre più a favore della Russia che rivendica la conquista di Chervone (Donetsk) e di Novodanilivka (Zaporizhzhia), e l'allargamento della zona cuscinetto attorno a Pokrovsk.