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“Ecco perché il momento più pericoloso è adesso”

Rischi di escalation, equilibri spezzati e nuove regole del gioco nel Medio Oriente pronto a esplodere dopo il primo scontro diretto tra Israele e Iran

“Ecco perché il momento più pericoloso è adesso”

Azioni simboliche, avvertimenti per mostrare i muscoli o atti dovuti per salvare la faccia, evitando un’escalation. Poco importa. Lo scontro diretto tra Israele e Iran, dopo decenni di guerra combattuta nell’ombra, ha scombinato le carte in Medio Oriente, costringendo gli stati interessati a uscire allo scoperto per riscrivere le regole del gioco. Nuovi equilibri, nuove alleanze, nuove soluzioni ad antiche questioni o punto di non ritorno verso un conflitto allargato? Oppure, dopo l’attacco annunciato di Teheran con centinaia di droni e missili lanciati su Israele e la risposta misurata di Tel Aviv a Isfahan, tutto è cambiato per rimanere uguale. "Il momento più pericoloso di qualsiasi rivalità geostrategica - ci dice Ali Vaez direttore del progetto Iran del Crisis Group, organizzazione internazionale per la prevenzione dei conflitti - è quando le parti cercano di modificare le regole del gioco. E, ora, siamo in questa fase".

Con il botta e risposta tra Israele e Iran siamo ai prodromi di una guerra allargata o è solo “molto rumore per nulla”?
“Sono state oltrepassate importanti linee rosse: entrambe le parti hanno preso di mira direttamente il territorio del nemico e hanno dimostrato molta più tolleranza per il rischio rispetto al passato. Anche se questo giro non si è concluso in un conflitto allargato, al prossimo e inevitabile round, a causa delle nuove regole del gioco ancora nebulose, la probabilità sarà molto più alta”.

Quindi, la risposta israeliana a Isfahan è stata più un passo verso la de-escalation?
“Ci sono ancora più domande che risposte sull'esatta natura del contrattacco di Israele. Ma sembra che si trattasse di un attacco ibrido, in cui piccoli droni dall'interno dell'Iran distraevano i sistemi radar per i missili aria-terra sparati da caccia israeliani dallo spazio aereo iracheno per raggiungere il loro vero obiettivo, che erano le batterie del sistema di difesa aerea S-300. Israele voleva dimostrare che l’Iran è vulnerabile alle operazioni segrete di Tel Aviv, che non ha nemmeno avuto bisogno di entrare nello spazio aereo iraniano per minacciarne il programma nucleare. Quindi, questo era più un avvertimento che un attacco volto a infliggere il massimo danno”.

Anche l’attacco scenografico di Teheran è stato un flop voluto più per compiere un gesto simbolico o qualcosa non ha funzionato?
“Credo che gli iraniani credessero che la maggior parte dei loro droni venisse intercettata. E la natura altamente telegrafata del loro attacco e la scelta di droni slow-moving come salva di apertura lo confermano. Tuttavia, speravano che il 10% bucasse lo spazio aereo e infliggesse più danni ai siti militari presi di mira. Il tasso di successo del 99% di Israele e delle forze della coalizione probabilmente è stato deludente per gli iraniani. Ma lo scopo dell'attacco non era quello di causare morte e distruzione. Era dimostrare che Teheran ha la volontà e la capacità di impedire a Israele di riscrivere unilateralmente le regole del gioco”.

Quale sarà la prossima mossa?
“Questo capitolo sembra chiuso, per ora. Ma le due parti non hanno ancora raggiunto un nuovo equilibrio. L'Iran sperava che il suo massiccio, ma calibrato, attacco avrebbe scoraggiato una risposta israeliana. Obiettivo che evidentemente non è stato raggiunto. Mentre il contrattacco limitato di Israele non ha spinto l'Iran a rivedere il sostegno ai suoi proxy nel prendere di mira direttamente Tel Aviv. Da entrambe le parti, tra le diverse interpretazioni di ciò che hanno ottenuto e di ciò che l'altro ha imparato, c’è molto spazio per un errore di calcolo”.

Cosa è cambiato negli equilibri geopolitici del Medio Oriente dopo il primo scontro diretto tra Israele e Iran?
“Il momento più pericoloso di qualsiasi rivalità geostrategica è quando le parti cercano di modificare le regole del gioco. Ora, siamo in una fase in cui le nuove regole non sono ancora chiare. Finché la causa delle tensioni Iran-Israele, che è la guerra a Gaza, continuerà, i rischi di confronto diretto tra i due e i loro rispettivi alleati resteranno alti”.

Chi ci guadagna di più da questa svolta strategica?
“Nessuna delle due parti è riuscita ad uscirne più forte. Sia l'Iran sia Israele hanno dimostrato di non avere fegato per innescare una guerra a tutto campo e che entrambi non possono difendersi senza un aiuto esterno. Ormai hanno trasformato il loro conflitto storicamente segreto e indiretto in uno aperto e diretto. E ora non si può più tornare indietro. Solo la Russia e la Cina hanno guadagnato da questo 'botta e risposta', che ha distratto gli Stati Uniti dall'Ucraina e dalla competizione con Pechino”.

Quale sarà l’impatto della crisi tra Iran e Israele sulla guerra a Gaza e i negoziati già in stallo?
“Queste tensioni distraggono dalla terribile situazione umanitaria a Gaza e probabilmente hanno dato ad Hamas, che sperava in una conflagrazione regionale, meno incentivi per finalizzare un accordo sul cessate il fuoco. Ma ora, a bocce ferme, è probabile che l'attenzione internazionale torni a queste due questioni”.

L’azione diplomatica americana per anni ha scongiurato lo scontro diretto tra Tel Aviv e Teheran. Cosa non ha funzionato questa volta?
“Nonostante i suoi sforzi, gli Stati Uniti avrebbero potuto, nel migliore dei casi, calibrare le risposte dell'Iran e di Israele. Non poteva dissuadere entrambe le parti dall'agire.

Se l’America avesse condannato l'attacco di Israele del primo aprile al consolato iraniano a Damasco - che ha violato la convenzione di Vienna del 1961 - avrebbe potuto raggiungere un risultato migliore a un costo molto più basso”.

Perché non l’ha fatto?
“La verità è che in un anno elettorale, la leva che un presidente, in corsa per la rielezione, può usare per fare pressione su Israele è una sola: condizionare gli aiuti”.

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