Fino a 80 miliardi per ricostruire la Striscia. Il nodo delle macerie: 20 anni per rimuoverle

Case, ospedali, scuole e strade quasi totalmente distrutti. Aziende Usa e arabe in prima fila, l’Italia non sta a guardare

Fino a 80 miliardi per ricostruire la Striscia. Il nodo delle macerie: 20 anni per rimuoverle
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Stimare con esattezza i tempi e i costi della ricostruzione di Gaza è un'impresa ardua ma di certo si può dire che non saranno né veloci né bassi. Secondo un rapporto redatto congiuntamente da Onu, Banca Mondiale e Unione Europea lo scorso febbraio i costi della ricostruzione si aggirerebbero sui 53,2 miliardi di dollari per un periodo di dieci anni con 20 miliardi necessari nei primi tre anni. Di questi ben 30 miliardi sarebbero destinati alla riparazione delle infrastrutture fisiche di cui 15,2 miliardi per l'edilizia residenziale, altri 19 miliardi per compensare le perdite economiche e quasi 1,9 miliardi per la rimozione delle macerie. Queste cifre già imponenti sono però aumentate negli ultimi mesi fino a raggiungere, secondo le nuove stime della Banca Mondiale, addirittura 80 miliardi di dollari.

La ricostruzione di Gaza necessita perciò di un'enorme macchina organizzativa che interesserà gli Stati Uniti, le nazioni europee e i paesi arabi. Non a caso il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, già durante gli incontri con i leader al summit di pace a Sharm el-Sheikh, ha annunciato la volontà di organizzare a novembre una conferenza al Cairo per «la rapida ripresa e la ricostruzione» con l'obiettivo di «costruire sullo slancio generato» da questo vertice. Si tratta di un'iniziativa di cui Al-Sisi ha parlato anche nel bilaterale con Donald Trump auspicando il sostegno degli Stati Uniti. Ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece affermato che cercherà il sostegno degli Stati del Golfo, degli Usa e dell'Europa per la ricostruzione di Gaza auspicando che il finanziamento del progetto sarà fornito rapidamente e aggiungendo che «la ricostruzione di Gaza richiederà certamente anni».

Il primo nodo da affrontare, previsto anche nella proposta di pace di Trump, è la rimozione dei detriti e delle macerie che si trovano nella striscia, un'impresa più facile a dirsi che a farsi poiché, secondo le Nazioni Unite, sono 53 milioni di tonnellate di macerie, l'equivalente di 7 piramidi di Cheope, con una stima di 21 anni necessari per rimuoverle tutte e un costo di 1,2 miliardi di dollari. Per farlo si procederà in modo graduale procedendo poi alla ricostruzione delle quasi 200mila strutture rase al suolo o danneggiate. Sempre secondo l'Onu, nel corso della guerra sono stati distrutti a Gaza il 94% degli ospedali, il 90% degli appartamenti, l'86% dei campi non sono più coltivabili, il 77% delle scuole e il 65% delle strade. Vari di questi edifici erano utilizzati da Hamas come rifugi o scudi e nella ricostruzione non si può non affrontare la questione della rete dei tunnel realizzati negli anni da Hamas che Israele e gli Stati Uniti vogliono smantellare.

In questa situazione l'Italia gioca un ruolo importante sia con le partecipate di stato sia con alcune grandi aziende e, non a caso, subito dopo l'annuncio della pace, i titoli in borsa di Cementir, Buzzi e Webuild sono cresciuti. Come spiega Banca Akros, Cementir «potrebbe beneficiare della fine dei conflitti in Ucraina, Siria e nella Striscia di Gaza» grazie alla forte presenza in Turchia.

Se le aziende americane e arabe sono destinate a fare la parte del leone, anche l'Europa vuole giocare la sua parte e la Commissione europea ha annunciato la firma di una linea di credito da 400 milioni di euro per sostenere la ripresa economica in Palestina.

Intanto, mentre a Wilton Park in Gran Bretagna è in corso la «conferenza sulla ripresa e la ricostruzione di Gaza» a cui partecipano

rappresentanti del mondo imprenditoriale, della società civile e dei governi, è già attivo un primo bando da 170 milioni di dollari per i servizi sanitari più urgenti. La macchina della ricostruzione è ufficialmente partita.

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