
La memoria corta appare essere la prerogativa di certi liberal (entità diversa dai liberali). In queste ore l'avversione al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e quella, forse ancor più viscerale, allo Stato di Israele e al suo premier Netanyahu, sta facendo passare in secondo piano cosa sia il regime iraniano e di quali nefandezze si sia macchiato. La teocrazia degli ayatollah in più di quarant'anni ha riportato indietro le lancette della storia dell'Iran, nell'economia, nel costume sociale, nei rapporti interpersonali, nella cultura. Ma soprattutto ha represso ogni forma di dissenso.
Nel luglio del 1988, dimenticato dalla storia e dalle cronache di questi giorni, si consumò uno dei più efferati eccidi della storia iraniana: trentamila oppositori politici, appartenenti al gruppo dei Mujaheddin del Popolo, una formazione di sinistra, furono massacrati in carcere, senza un barlume di processo. La parte prevalente dei giustiziati erano studenti liceali o universitari, molte le donne.
L'avvio delle esecuzioni scattò per effetto di una fatwa decretata dall'allora guida suprema l'ayatollah Ruhollah Khomeini.
In anni più recenti, abbiamo raccontato le tragiche storie di donne iraniane, finite nelle grinfie del regime, a cominciare dalla ventiduenne Mahsa Amini, morta dopo diversi giorni di coma, dopo essere stata picchiata a sangue dalla polizia religiosa che l'accusava di indossare in maniera scorretta il velo. Con lei tanti altri casi ampiamente documentati.
Negli ultimi quarant'anni il regime iraniano ha costituito il peggio dell'oscurantismo teocratico, confusione della legge islamica con il diritto positivo, antioccidentalismo e annullamento dei diritti individuali della persona. Enormi i danni anche alla stessa società iraniana, regredita di mezzo secolo e non più capace di sviluppare le sue enormi potenzialità, quelle che derivano dal suo virtuoso popolo, dalla grande storia persiana e dall'essere una nazione ricca di petrolio.
Si pensava che la condanna di tutto ciò costituisse patrimonio comune, in grado di superare le divisioni politiche, eppure in questi giorni, pur di dileggiare Trump o Israele, le nefandezze dei chierici sciiti passano in secondo ordine se c'è da far polemica. I liberal di sinistra non sono nuovi a questi cortocircuiti, è avvenuto con i talebani, con la Siria dove è arrivato al potere un ex affiliato di Al Qaida o quando ci si illuse che le cosiddette «primavere arabe» avrebbero portato democrazia e benessere.
Qualche anno fa, creò non poco imbarazzo l'immagine dell'allora Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, già ministro degli Esteri italiano, che si presentò davanti agli iraniani col capo coperto, immagine che strideva con quella di Oriana Fallaci che al termine dell'intervista all'ayatollah Khomeini, si tolse apertamente il chador.
La Fallaci non ebbe paura a scrivere: «un vecchio molto vecchio», il quale «appariva così remoto dietro la superbia, così vulnerabile, insieme solenne», perché «teneva le palpebre semiabbassate, lo sguardo ostentatamente fisso sul tappetino, quasi volesse dirmi che non meritavo nessuna attenzione».
Non sappiamo quale sarà l'esito della vicenda in atto, se si arriverà a una caduta del regime, probabilmente non ancora. Tuttavia, all'epoca dell'attacco di Saddam Hussein nel 1980 il regime godeva di un diffuso consenso e riuscì a mobilitare il Paese per opporsi all'aggressione esterna.
Oggi, le cose stanno molto diversamente.
Gli iraniani, popolo antico e fiero, sono sfiduciati e stanchi, anche se la repressione ha impedito che si sviluppasse una resistenza organizzata.L'intera vicenda iraniana mette a nudo certi protagonisti del pensiero corretto e mostra quanto siano labili quei principi a cui dicono di aderire, sacrificabili quando c'è da polemizzare con i nemici di sempre.