
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato il decreto che avvia il processo di recesso dell’Ucraina dalla Convenzione di Ottawa del 1997, che vieta l’uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di mine antiuomo.
La scelta di Kiev sulle mine antiuomo
La decisione, ancora in attesa di ratifica parlamentare, rappresenta una svolta significativa nella dottrina difensiva del Paese, maturata nel contesto dell’invasione russa e ispirata da analoghe mosse compiute da Stati vicini come Polonia e Stati baltici.
Secondo il ministero degli Esteri di Kiev, l’utilizzo sistematico di mine da parte delle forze russe – che non aderiscono al trattato – ha creato un vantaggio asimmetrico sul campo e imposto una revisione degli obblighi internazionali ucraini. “L’Ucraina non può più permettersi di combattere con le mani legate mentre il nemico semina morte senza limiti”, ha commentato il parlamentare Roman Kostenko, sottolineando come Mosca impieghi da tempo ordigni esplosivi contro civili e militari, lasciando vaste aree contaminate da residui bellici inesplosi. Secondo Human Rights Watch, dal 2022 la Russia ha utilizzato oltre una dozzina di varianti di mine antiuomo sul suolo ucraino.
La Polonia e i Baltici
La scelta ucraina si inserisce all’interno di una sterzata poderosa dei Paesi baltici verso questa stessa opzione: il Parlamento polacco ha approvato con ampia maggioranza un disegno di legge che autorizza il ritiro del Paese dalla Convenzione di Ottawa. La mossa, giustificata dal governo come necessaria per rafforzare la difesa nazionale, ha incontrato una condanna diffusa a livello internazionale. Il ministro della Difesa polacco Władysław Kosiniak-Kamysz ha difeso la decisione, sostenendo che “la Polonia non può restare prigioniera di un trattato che le impedisce di proteggere efficacemente la propria patria”. Il voto alla camera bassa del Parlamento (Sejm) ha registrato 413 favorevoli, 15 contrari e tre astensioni. Il testo passa ora all’esame del Senato e infine alla firma del presidente della Repubblica. Nel frattempo, una coalizione composta da oltre 100 premi Nobel per la Pace, tra cui l’ex presidente polacco Lech Wałęsa, ha diramato una dichiarazione congiunta che sollecita la Polonia e i suoi alleati a rivedere la decisione. "Le mine antiuomo sono strumenti indiscriminati di morte e mutilazione, residui letali di conflitti passati", si legge nel documento. A preoccupare è anche l’effetto domino tra i membri della NATO.
La Lituania ha già notificato ufficialmente il proprio recesso dalla Convenzione, con effetto a partire da dicembre. La decisione – presa insieme a Lettonia ed Estonia – è stata motivata con l'esigenza di rafforzare la difesa dell’intero fianco orientale dell’Alleanza Atlantica in risposta a un contesto di sicurezza in rapido deterioramento.
Le reazioni
Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è intervenuto con toni allarmati: “Dobbiamo proteggere le norme umanitarie internazionali e accelerare gli sforzi contro le mine. Il ritiro di diversi Stati membri dalla Convenzione rappresenta un pericoloso arretramento. La tutela delle vite civili dipende dalla nostra azione collettiva”, ha scritto su X. In parallelo, Zelensky ha rinnovato alla Casa Bianca la richiesta urgente di forniture aggiuntive di sistemi di difesa aerea Patriot. Ma da Washington, finora, non è giunta alcuna risposta formale. Sul piano diplomatico, si segnala un nuovo contatto tra i vertici dell’intelligence: Sergei Naryshkin, direttore dell’SVR, ha confermato una conversazione con il capo della CIA John Ratcliffe, la seconda in tre mesi, sottolineando l’impegno reciproco a mantenere aperti i canali di comunicazione.
Mosca, dal canto suo, reagisce con durezza.
Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov accusa l’Occidente di voler infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia utilizzando Kiev come “ariete”, ribadendo che tali tentativi sono destinati al fallimento. A lui ha fatto eco il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha avvertito che ogni ulteriore escalation sanzionatoria sarà seguita da una risposta proporzionalmente più severa.