"Putin? Fa il bullo, ma non è più forte"

Carolina de Stefano, docente di Storia e politica russa alla Luiss, a un anno dall'inizio della guerra, fa il punto sulla situazione di Mosca e sulla gestione del potere da parte di Putin

"Putin? Fa il bullo, ma non è più forte"

“La Russia di Putin, oggi, è un Paese molto più militarizzato". Carolina de Stefano, docente di Storia e politica russa alla Luiss, autrice di Storia del Potere in Russia. Dagli zar a Putin (Morcelliana, 2022), fa il punto sulla situazione di Mosca, a un anno dall'inizio della guerra.

La Russia di Putin è più povera e illiberale?

"Come dimostrano le misure economiche di cui ha parlato Putin nel suo discorso alle Camere, è un paese con un’economia di guerra che deve fare uno sforzo importante, concentrare gli investimenti, migliorare lo sviluppo tecnologico, orientando tutto verso la continuazione del conflitto. Oggi, poi, la Russia è un Paese ancora più repressivo, in cui nessuna forma di opposizione è ammessa. Già prima dello scoppio della guerra la repressione era cresciuta in modo esponenziale. Tutti i media indipendenti sono stati chiusi, cacciati dal Paese o equiparati a organizzazioni terroristiche”.

Alla luce dei suoi ultimi discorsi, Putin è più debole o più forte?

“Si tratta di due discorsi differenti. Prima ha parlato all’Assemblea federale, ossia alla classe politica e all’alta amministrazione. Nello stadio di Mosca, invece, ha parlato, solo per due minuti e mezzo, alla popolazione. Non direi che è più forte dopo questi discorsi, ma quantomeno si è esposto: erano due anni che non faceva un discorso di fronte alle camere del parlamento. Si dicevano varie cose sul suo stato di salute, sul fatto che non fosse in grado di tenere un discorso. Non direi che è più forte anche perché il suo non è stato un discorso trionfalistico, ma soprattutto mirato a giustificare 'l’inevitabilità', a suo dire, della decisione di invadere e a rassicurare il paese sullo stato dell’economia”.

Ha paragonato Biden a Hitler, ha minacciato di ucciderlo. Discorsi di questo tipo sono da prendere sul serio o sono discorsi di un folle?

"Sono discorsi di un bullo che riflettono la degradazione progressiva molto rapida delle relazioni tra la Russia e l’Occidente. Non bisogna prenderlo alla lettera, ma è chiaro anche che non c’è quasi più alcun argine diplomatico, tutti i ponti costruiti dopo il crollo dell’Urss si sono e si stanno sbriciolando. C’è quindi molta incertezza su ciò che accadrà".

I russi sono ancora al suo fianco più per convinzione o più per paura?

“Credo ci sia un supporto reale a questa guerra, non è solo paura. C’è una fascia di persone che sono convinte per propaganda, per questioni culturali, che questa guerra sia necessaria. C’è la convinzione in una parte della popolazione russa che fosse in corso un genocidio nel Donbass, che pensa davvero che il governo ucraino salito al potere dopo il 2014 fosse un governo neonazista. C’è, però, anche molta paura. Si sa benissimo che non si possono dire certe cose, che nessuna esitazione o dubbio è ammesso. Infine, più di un milione di persone che hanno lasciato il Paese dall’inizio del conflitto erano contro il regime o quantomeno contro l’idea di farsi spedire a combattere in Ucraina”.

Perché il discorso di Biden a Varsavia è stato paragonato a quello di Reagan in cui quest’ultimo chiedeva a Gorbaciov di abbattere il muro di Berlino?

“A me non sembra che il paragone sia calzante guardando ai due periodi storici. Gorbaciov non è Putin. Nel primo caso il Presidente americano capì che si poteva parlare con Gorbaciov come con nessun leader sovietico precedente, e iniziò una fase di apertura in cui i contatti tra i due paesi si intensificarono e si firmarono accordi su disarmo e non proliferazione. Biden che cammina in una città di un Paese invaso è un’immagine forte, invece, per il motivo opposto: segna il ritorno di uno scontro in stile Guerra fredda tra Occidente e Russia”.

Ad oggi esiste ancora la possibilità che il conflitto si allarghi oltre l’Ucraina, la minaccia della bomba atomica è ancora reale oppure no?

“È reale. Non lo vedo imminente ma è una variabile da considerare perché la situazione può sempre peggiorare. Il fatto che Putin abbia non solo annunciato la sospensione dell’implementazione del New Start, ma che abbia stracciato il documento strategico di politica estera russa del 2012, che prevedeva tra le altre cose il riconoscimento della superiorità del diritto internazionale su quello nazionale, apre nuovi scenari. Se all’inizio della guerra si dava quasi per scontato che la Russia guardasse solo all’Ucraina, più si va avanti, più nulla può essere escluso. Ancora più che una guerra nucleare, effettivamente un allargamento del conflitto”.

Verso dove? La Moldavia, la Polonia?

“Più che Paesi Nato, mi riferisco ai Paesi ex sovietici e, più precisamente, agli stati de-facto ex sovietici (Trasnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud) in cui sono presenti contingenti militari russi dagli anni Novanta. Un tentativo di annettere questi territori, cosa che la Russia non ha mai provato a fare nell’ultimo trentennio proponendosi invece come mediatore delle dispute irrisolte o difensore della loro indipendenza, non è da escludere".

La pace, quindi, è ancora molto lontana?

“Sì e, in ogni caso, un ‘cessate il fuoco’ non significherebbe una pace.

L’idea di risolvere il conflitto trovando un accordo su alcuni territori è molto remota. Al momento, le forze in campo mantengono le loro posizioni e sono ferme in una guerra di attrito in cui, negli ultimi mesi, non ci sono stati grandi avanzamenti”.

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