Tempo prima del colpo di mano russo in Crimea e della destabilizzazione del Donbass nel 2014, la Russia aveva avviato una serrata campagna mediatica volta a giustificare il suo intervento nel campo dei conflitti combattuti “nella zona grigia”, ovvero in quel settore afferente alla guerra ibrida che utilizza disinformazione, manipolazione dell'opinione pubblica e infine vere e proprie azioni cinetiche (ma di basso profilo) per ottenere un risultato strategico.
La narrazione del Cremlino era che l'Ucraina fosse un Paese neonazista, retto da una dittatura di stampo fascista, che le minoranze russe fossero perseguitate e che fosse in atto un genocidio in Donbass. Questa narrazione, in buona parte, continua tutt'ora, e sappiamo che si tratta di una mistificazione delle realtà: i partiti neonazisti, o le formazioni extraparlamentari di tale stampo, sono un'esigua minoranza nella politica ucraina (il battaglione “Azov”, che si è formato nel 2014, era appunto un battaglione, quindi composto da circa un migliaio di effettivi); effettivamente le minoranze russofone si sono viste limitare l'uso del russo nella funzione pubblica ma sino all'invasione russa del 2022 la diffusione di testi in russo non era proibita; il genocidio in Donbass non è mai esistito: le 14mila vittime dal 2014 al 2022 non sono esclusivamente composte da civili “russi”, ma sono in larga parte militari delle due fazioni in lotta (10900) con la maggior parte di essi caduti nel biennio 2014/2015. Come si può osservare dai rapporti OSCE, il conflitto si è sopito negli ultimi anni pre invasione russa, con solo pochissime vittime civili per lo più dovute alle mine. La manipolazione russa dell'informazione ha riguardato anche la storia dell'Ucraina: il refrain del Cremlino prima dell'invasione ha sempre indicato il Paese come una costola della Russia, un Paese che non ha mai avuto una storia autonoma e nemmeno una lingua (l'ucraino è diverso dal russo n.d.r.).
Ora questa tipologia di disinformazione si è estesa oltre l'Ucraina e sta coinvolgendo Paesi europei che, per motivi storici, hanno avuto legami con la Russia/Unione Sovietica. In particolare il Cremlino, recentemente, ha preso di mira la Finlandia con una campagna di denigrazione del Paese con l'obiettivo di consolidare nella mente delle persone, attraverso la ripetizione ossessiva, l'idea che la Finlandia sia un paese russofobo e filonazista che sta tramando una vendetta militare contro la Russia. Un rapporto svedese (History as a Battlefield: Russia's Campaign Against Finland 2025) pubblicato giovedì dall'Autorità per la Difesa Psicologica mostra come il fine di questa attività russa - supervisionata da Vladimir Medinski noto come consigliere di Putin, soprattutto per le questioni storico-politiche – sia quello di influenzare simultaneamente tre pubblici diversi: l'immagine che i russi hanno della Finlandia, la comprensione della storia da parte dei finlandesi e la reputazione internazionale della Finlandia. Le accuse trovano legittimazione formale attraverso la pubblicazione, ad esempio, di documenti d'archivio che raccontano di presunte atrocità commesse da soldati finlandesi. Ai russi viene detto che l'FSB ha declassificato i documenti solo ora che le intenzioni aggressive della Finlandia, precedentemente considerata amichevole, sarebbero state rivelate. Anche i processi per genocidio contro la Finlandia, sbandierati come palliativi, creano l'illusione di credibilità. In realtà, non soddisfano alcun criterio per un processo normale.
La campagna coinvolge anche diversi attivisti storici, cosacchi e figure patriottiche, che vengono utilizzati per creare un'immagine di disapprovazione popolare nei confronti della Finlandia tra il popolo russo. Anche alti dirigenti russi vengono ripetutamente ascoltati per lanciare dichiarazioni che attaccano la Finlandia usando la storia.
Si tratta di un modus operandi che non va sottovalutato almeno per un motivo: è lo stesso utilizzato dal Cremlino per giustificare l'invasione dell'Ucraina. In sostanza, proprio come avvenuto nel caso ucraino, questa campagna di disinformazione può essere utilizzata per mobilitare e unire il popolo russo, ma anche per dividere e paralizzare l'unità dei Paesi occidentali. Questo, a sua volta, può aprire la strada a un attacco armato o un'azione nel campo dei conflitti ibridi come avvenuto in Crimea nel 2014.
La stessa manipolazione della storia da parte russa sta avvenendo contro la Lituania. La propaganda russa contro Vilnius si concentra su accuse di revisionismo storico, sostegno all'ideologia nazista e alimentazione della russofobia. Una vasta e coordinata rete di strumenti di propaganda russa, composta da media controllati dallo Stato, social network e siti web filo-russi, garantisce la diffusione di narrazioni che screditano la Lituania. Un elemento chiave della politica di disinformazione russa è ancora una volta rappresentare il Paese baltico come uno dei paesi più russofobi d'Europa. Questa narrazione si basa principalmente sull'affermazione che la Lituania discrimini i russofoni e cerchi di emarginare i sostenitori della Russia, indipendentemente dalla loro nazionalità. La Russia, anche in questo caso, traccia parallelismi tra questa presunta russofobia e il genocidio, suggerendo che i russi in Lituania e negli altri Stati baltici stiano attualmente vivendo ciò che gli ebrei hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale. La manipolazione della storia, per il caso lituano, si spinge anche oltre con la pubblicazione ad aprile 2025 del libro “Storia della Lituania” con la prefazione del ministro degli Esteri Sergej Lavrov in cui si afferma a chiare lettere che la lingua lituana non esisterebbe e si mette in dubbio la stessa esistenza di un'entità nazionale lituana.
Tra gli autori del libro, pubblicato dall'Istituto Statale di Relazioni Internazionali di Mosca, c'è Giedrius Grabauskas, ex collaboratore del politico lituano Algirdas Paleckis, condannato per spionaggio a favore della Russia e Maxim Grigoryev un veterano della guerra russo-ucraina.