
Hamas non è un partito politico, come qualcuno ancora tenta di presentarlo. È un’organizzazione armata che da decenni esercita il proprio potere con la violenza e che il 7 ottobre 2023 ha mostrato al mondo la sua natura più feroce. In quella data centinaia di miliziani oltrepassarono il confine israeliano colpendo indiscriminatamente civili, famiglie nelle abitazioni, studenti nelle scuole e giovani riuniti al festival musicale Nova, simbolo di libertà e condivisione, dove persero la vita 378 persone. L’attacco, nel complesso, costò la vita a 1.195 israeliani, oltre 800 dei quali civili, e si concluse con il sequestro di 251 ostaggi.
A quasi due anni di distanza, quella ferita resta aperta. Almeno 50 ostaggi si troverebbero ancora a Gaza nelle mani di Hamas e, secondo la Croce Rossa e fonti israeliane, meno della metà sarebbe sopravvissuta. La vicenda di Evyatar David, ridotto alla fame e costretto dai suoi carcerieri a scavarsi la fossa, è divenuta simbolo della brutalità dei sequestratori e della resistenza disperata delle vittime.
La reazione militare israeliana ha provocato effetti devastanti sulla popolazione della Striscia di Gaza. Le vittime palestinesi, secondo i dati aggiornati all’estate 2025, hanno superato quota 62.000, mentre altre stime parlano di oltre 90.000 morti legati a traumi e ferite. A pagare il prezzo più alto sono stati donne e bambini, i più indifesi nei conflitti. Ogni vita spezzata resta una tragedia e nessuna motivazione politica o militare potrà mai restituire il dolore subito dalle famiglie. Israele, tuttavia, non ha scelto questa guerra: è stato trascinato in un confronto armato da un’aggressione che ne metteva a rischio la sopravvivenza. Hamas, da parte sua, utilizza i civili come scudi umani, trasforma scuole e ospedali in basi militari e alimenta una propaganda che cerca di invertire la percezione internazionale, presentandosi come vittima e attribuendo a Israele la responsabilità di ogni male.
Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, è un movimento islamista sunnita di ispirazione fondamentalista. Molti Paesi lo riconoscono come organizzazione terroristica: Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Canada, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e, più di recente, la Svizzera. Anche l’Organizzazione degli Stati Americani, nel 2021, lo ha definito ufficialmente terrorista. Non ovunque, però, questa posizione è condivisa. Paesi come Iran, Russia, Cina, Turchia, Qatar, Siria e Brasile, e in alcuni momenti anche l’Egitto e l’Arabia Saudita, hanno preferito considerarlo un movimento politico o di resistenza, evitando di inserirlo nelle proprie liste nere. Questa divergenza dimostra quanto le dinamiche geopolitiche influenzino la stessa definizione di terrorismo, ostacolando una linea comune a livello internazionale.
Ogni volta che una democrazia viene colpita, a essere ferito non è soltanto un popolo, ma l’intero sistema di libertà e diritti su cui si fonda la convivenza civile. Per questo i Paesi democratici non possono permettersi ambiguità: sostenere chi difende i valori della libertà e della vita è un dovere, così come contrastare chi usa la violenza, le armi e il terrore per imporre la propria visione.
La minaccia, però, non si ferma al Medio Oriente. Anche in Italia e in altri Paesi europei esistono realtà estremiste che, pur non avendo la forza di Hamas o dell’ISIS, si pongono contro lo Stato e contro i principi democratici. Negli ultimi anni le autorità hanno smantellato cellule jihadiste collegate all’ISIS e ad AlQaeda, spesso formate da piccoli gruppi o singoli radicalizzati, talvolta reclutati in carcere o rientrati come foreign fighters. Accanto a questo fronte si collocano i movimenti neonazisti, capaci di organizzare manifestazioni violente e di diffondere propaganda suprematista e antisemita, soprattutto attraverso la rete. L’estremismo anarchico-insurrezionalista, da parte sua, ha portato a episodi di sabotaggio, attentati dimostrativi e scontri con le istituzioni. Infine, la criminalità organizzata italiana ’Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita continua a rappresentare la più pericolosa forma di anti-Stato, creando poteri paralleli e opponendosi con violenza allo Stato di diritto.
Sul piano globale, oltre a Hamas e Hezbollah, restano attivi gruppi come ISIS e Al-Qaeda, capaci di mantenere reti internazionali e cellule operative, mentre altri estremismi, come i movimenti neonazisti e suprematisti bianchi, trovano spazio soprattutto negli Stati Uniti e in parte dell’Europa. Alcuni regimi, come l’Iran, la Russia o i Talebani in Afghanistan, sfruttano o sostengono questi movimenti come strumenti di pressione geopolitica.
Realtà come Hamas non rappresentano il popolo palestinese, ma solo un progetto ideologico di morte, e devono essere fermate con determinazione perché incarnano quella parte di islamismo radicale che mette in pericolo la stabilità delle democrazie. Il mondo deve scegliere la strada della pace e della cooperazione, rinunciando definitivamente ai conflitti armati che portano soltanto distruzione, fame, carestie e disperazione, condannando donne, uomini e soprattutto bambini innocenti a sofferenze e atrocità inaccettabili.
La pace rimane l’unica via d’uscita
da queste tragedie. È responsabilità dei leader mondiali trovare il coraggio e la lucidità necessarie per fermare guerre che ogni giorno dilaniano popoli e società, restituendo speranza a chi oggi conosce soltanto dolore.