Dopo la guerriglia è l’ora della fuga: gli immigrati scappano da Rosarno

«Deportati» per scelta. Dopo i giorni della rabbia, della rivolta, della voglia di dire basta, adesso sono loro a volersene andare. O meglio fuggire. Qualcuno è stato preso dalla polizia, molti la polizia l’hanno chiamata per farsi portar via. Due giorni da guerra civile a Rosarno, Piana di Gioia Tauro, dove tra i campi di aranci, mandarini e gli uliveti regna la ’ndrangheta, hanno convinto i migranti arrabbiati a cambiar aria.
Trolley al posto delle valigie di cartone rinforzate con spaghi d’aglio come nei film anni Sessanta che portavano i nostri al Nord, ma le stesse facce rassegnate e invecchiate di chi di nuovo deve provare a rivivere. La storia si ripete cinquant’anni dopo. Cambia il colore della pelle di chi scappa. Da dove come scriveva Silone «ci si deve litigare l’acqua».
«Vabbè, vuol dire che andremo in qualche città del Nord a vendere occhiali e finte borse di Gucci», azzarda un senegalese.
In centinaia, ieri, uomini donne e qualche bimbo hanno raccolto in fretta e furia i loro «stracci» per salire sui pullman messi a disposizione dalle autorità per essere trasferiti nei centri di prima accoglienza di Crotone, Bari o della Sicilia. Altrettanti sono partiti in treno sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine, oppure con mezzi propri per raggiungere la Campania o la Sicilia o gli «amici» al Nord, dove sperano di trovare un’accoglienza diversa.
Ancora una volta ha vinto la ’ndrangheta. O meglio l’assenza dello Stato. Manodopera sfruttata, uomini costretti a una vita fatta di sopravvivenza, gente senza diritti e spesso senza identità, andranno a sparpagliarsi nel resto del Paese. Secondo le stime, sarebbero circa un migliaio gli stranieri sui quali la task force della Prefettura di Reggio Calabria, in stretto contatto con il dipartimento per l’Immigrazione e le libertà civili del Viminale, starebbe cercando di attuare l’allontanamento volontario.
Di fronte alla protesta violenta, Rosarno, la Calabria, ha reagito con altrettanta violenza. Si è sparso sangue, si è rischiato il morto, in strada le barricate. Bianchi contro neri. Le cifre raccontano di 53 feriti, 21 di questi immigrati, otto dei quali ancora in ospedale.
Ancora ieri, dopo i due africani impallinati a fucilate e gli altri due presi a sprangate, (uno è grave) un altro africano è stato ferito a una gamba e al braccio da un fucile caricato a pallini. Si chiama Moussa Dabrè, 29 anni, del Burkina Faso. Gli altri due che si trovavano con lui l’hanno scampata.
Rosarno somiglia a un campo di battaglia. Scuole chiuse, strade bloccate, auto ribaltate e bruciate. E per le vie gente armata di mazze, bastoni e talvolta pistole.
Ma chi ha guidato la rivolta? Si è trattato di una scintilla o di un’azione voluta e coordinata? Sono queste le domande alle quali gli inquirenti stanno ora cercando di dare risposta. Il procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo spiega: «Stiamo indagando a tutto campo. Non abbiamo un’ipotesi investigativa privilegiata. La ’ndrangheta potrebbe aver fomentato la protesta? È un’ipotesi, ma ci vogliono elementi chiari che indichino questa strada».
I dati certi, per ora, sono che tutti e tre gli italiani fermati durante gli scontri non sono sconosciuti alla giustizia. Antonio Bellocco è figlio di un esponente di spicco della omonima cosca che è egemone nella Piana di Gioia Tauro. L’uomo è accusato di resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Un altro dei fermati è stato condannato di recente per omicidio colposo. Due anni fa, nella notte di Capodanno, uccise la fidanzata con un colpo di pistola partito, stando all’inchiesta, in modo accidentale.
Per cinque immigrati il fermo, invece, è già stato tramutato in arresto e sono al momento nel carcere di Palmi.

Altri due dovranno rispondere al gip nelle prossime ore.
Fanno tremare, invece, le parole di un imprenditore della zona. «Se ne vanno gli africani? Ebbene, per i lavori nei campi utilizzeremo i romeni, che arriveranno in massa».
Schiavitù senza fine.

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