Una gustosa «zuppa» di note

Il musicista di Sarajevo propone il suo «rimpasto» di rock e tradizione

Rock e musica classica, litanie bizantine e fanfare gitane, polifonie «classiche» bulgare, senza dimenticare i campionamenti elettronici. Sono numerosi e diversi - in molti casi, contrastanti - gli ingredienti della musica di Goran Bregovic, che con la sua Orchestra per Matrimoni e Funerali, oggi sarà al teatro romano di Ostia Antica, nell’ambito del festival Cosmophonies. Non un semplice incontro di ispirazioni e culture diverse, ma un vero «rimpasto» di tradizioni, come lo definisce lo stesso musicista, che lo ha derivato dalla cultura gitana, infondendogli, però, un calore tutto balcanico. Il segreto è nell’interpretazione, fatta prima con l’anima e, solo in un secondo momento, con gli strumenti musicali. Senza costrizioni o limiti. Come a dire che la musica è vita, nulla di meno: ha in sé la storia e la geografia, senza essere schiava di nessuna delle due.
La «ricetta» è chiara: le melodie si ascoltano, si elaborano, si metabolizzano e infine si eseguono, scoprendo le infinite sfumature delle quali si sono arricchite lungo il percorso di interiorizzazione. Nato a Sarajevo da madre serba e padre croato, Bregovic è un musicista autodidatta che ha scoperto il rock a sedici anni, «quando - spiega - era l’unica possibilità per esprimere pubblicamente il malcontento senza rischiare di finire in galera o quasi».
Divenuto un idolo per la gioventù jugoslava, negli anni Ottanta l’artista decide di allontanarsi dai riflettori e inizia a comporre le musiche per Il tempo dei gitani, film dell’amico regista Emir Kusturica. Da qui, la strada è tutta in discesa: tra cinema, teatro e concerti, conquista il mondo con le sue «visioni» ritmiche. L’interesse per la contaminazione di generi lo porta a creare uno stile unico, che non segue regole precise ma centra l’obiettivo di raggiungere nel profondo l’animo di chi lo ascolta. Bregovic trasforma in note e armonia la nostalgia ancestrale dell’uomo. E lo fa con melodie sperimentali, che, per paradosso, si alimentano di tradizioni antiche e strumenti popolari. Composizioni ardite e appassionate che raccontano la vita «così come realmente è, piena di buchi, imprevisti, esitazioni».


Da Ederlezi, tratta da Il Tempo dei Gitani, a In the death car, tema di Arizona Dream - e una delle più belle interpretazioni di Iggy Pop - fino alle melodie di Train de vie, ogni concerto è studiato per raccontare l’uomo nella sua universalità, senza disdegnare, però, quelle «imperfezioni» che conferiscono alla sua essenza - ed esistenza - un carattere unico. Al contempo tragico e comico. O, come suggerisce il nome che ha scelto per la sua orchestra, da matrimoni e funerali.

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