RomaLintervista a Lorin Maazel sulla regia dopera ha creato polemica e Franco Zeffirelli replica alle parole del direttore dicendo: «Ho la coscienza a posto. Ho sempre attaccato i colleghi che appartengono a una consorteria di ignoranti, intenti a distruggere la tradizione operistica. Che è italiana, me lha riconosciuto anche Maazel, in una telefonata dopo la lettura della sua coraggiosa intervista. Maazel ed io siamo rimasti fra i pochissimi a sorvegliare, perché la distruzione non si compia».
Tutta colpa dei registi?
«Giudichi lei. Negli anni Novanta vidi una Traviata a Monaco di Baviera. Le racconto come la faceva finire il regista. La signorina Valéry è ormai alla fine; chiede alla cameriera di recarle i vestiti, perché - lo si capirà dopo - lei vuole andare a sposarsi. Si veste e fa per uscire dalla casa; senonché, uscita dal portone, viene investita da un autobus e muore. Vede una grande novità in questa soluzione che non ha riscontro nel libretto?».
Va bene, ma non è che tutte le volte accada la stessa cosa.
«Più spesso di quanto non si creda. Ricorda Traviata di qualche anno fa a Salisburgo, interpretata dalla brava Anna Netrebko? Uno spettacolo infame che, per qualche giornale, era la Traviata del nuovo millennio. Senonché la protagonista mi ha confessato che quella è stata la sua camera di tortura».
Insomma la colpa è solo e sempre dei registi.
«No. I registi, nellopera di distruzione della tradizione del melodramma, sono spesso in compagnia di direttori e critica. I direttori perché non rinunciano a un contratto, anche quando non sono d'accordo con la messinscena; i critici perché appoggiano le stravaganze. I direttori poi, anche quelli universalmente riconosciuti come geni, temendo che i registi gli rubino la scena, sono disposti a distruggere spettacoli molto belli. Ho fatto alla Scala un indimenticabile Otello, direttore Kleiber, protagonista Placido Domingo. Chieda alla Scala che fine ha fatto quello spettacolo meraviglioso. Ebbe un grande successo. Mai più ripreso, anzi distrutto!».
Dappertutto si fa guerra alla tradizione?
«No, altrimenti non si capirebbe perché certi miei spettacoli (Traviata, Bohème, Don Giovanni) sulle scene da decenni non vengono mai sostituiti con altri».
Cè stata unetà delloro cui ispirarsi per riformare, oggi, il melodramma?
«Sì, letà doro è stata letà di Toscanini, Serafin, De Sabata, e poi di Gavazzeni, Giulini. Non erano affetti da storture intellettualoidi, non coltivavano soluzioni stravaganti, erano i custodi della tradizione».
Un nome, uno solo fra i giovani registi, una promessa.
«Non posso nominarli, non esistono».
Insomma ogni speranza è persa?
«No. Basta non inseguire il nuovo per il nuovo, perché ogni cosa fatta bene è nuova».
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