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Habla Habla, temuto come il ricordo della miseria

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di Gianni Brera

In piena èra atomica, il nome di un allenatore di calcio è stato riassunto in una sigla che raddoppia la bomba H. La sigla è composta dalle iniziali di Helenio Herrera, uomo dotato in verità di temperamento esplosivo. Il giornale che per primo si è servito di quella sigla obbediva probabilmente a esigenze di spazio. Talora i titoli si vogliono forti e lo spazio orizzontale - o giustezza - non consente l'uso di corpi elevati. Così si inventa la sigla H.H., sulla quale ironizzano i detrattori, leggendovi le iniziali di Habla Habla.

Per sua fortuna Helenio Herrera guadagna qualcosa come cento milioni l'anno e se ne infischia dei detrattori. Ne ha avuti e ne avrà sempre più di millanta, che tutta notte canta. I detrattori gli sono utili quasi quanto gli estimatori. Ha studiato fin dai primissimi anni in lingua francese. Conosce bene il significato di pourvu qu'on parle de moi. Naturalmente, non è così ingenuo da ammettere che i detrattori gli giovino. Li chiama invidiosi o nemici: e neppure suoi, bensì della società per la quale allena: ieri il Siviglia, l'Atletico Madrid, il Barcellona: oggi l'Internazionale Foot-ball Club di Milano.

H.H. è in Italia dal 1960. Ogni anno gli viene aumentato l'onorario. Percepisce un ingaggio superiore ai cinquanta milioni e premi doppi per le vittorie dei giocatori alle sue dipendenze, che compongono tre squadre. Venendo in Italia ha dovuto profondamente rivedere i criteri con i quali si era imposto in Ispagna, paese di suo padre e di sua madre. Ha saputo farlo con strabiliante disinvoltura. Invidiosi e nemici - secondo che lui definisce i suoi critici - hanno finito col sospettare di esser gabbati e quindi hanno smesso di bersagliarlo. Molta gente lo detesta ma solo perché dirige l'Inter, vittoriosa da troppo tempo. L'Inter è il simbolo di Milano operosa, ricca e inevitabilmente pacchiana. Chi sa di storia può spiegarsi di acchito i successi di Herrera tra i milanesi. In realtà non esiste un tipo di milanese riconoscibile sotto l'aspetto propriamente etnico. Milano è uno spalto sul quale si lotta per il pane e per il benessere. I milanesi sono originari di tutta l'Italia, di parte della Svizzera e della Germania. Helenio Herrera è molto milanese secondo il cliché che i malevoli si sono fatti degli abitanti di Milano. Nella storia della città si ritrovano due romagnoli dannosissimi a Milano e all'Italia: Lodovico il Moro e Benito Mussolini. L'uno e l'altro avevano molto in comune con Herrera. Il quale vedi caso, è spagnolo: e che abbia tanta fortuna a Milano non stupisce.

Il presidente dell'Inter, che ha assunto Herrera, è Angelo Moratti, uno dei pochi milanesi di sangue lombardo. Infatti non è nato a Milano e fuori di Milano ha fatto la sua ingente fortuna. È diventato presidente dell'Inter nel 1955-1956. Per cinque anni ha speso quattrini nel calcio senza cavarne altro che acre dispetto.
Nel 1960 ha offerto a Herrera il doppio o forse più del doppio di quanto percepiva in Spagna. Herrera aveva guidato il Barcellona all'attacco del famoso Real Madrid e lo aveva battuto per ben due volte consecutive in campionato e in Coppa di Spagna. Aveva perduto invece nella semifinale della Coppa dei Campioni d'Europa e i molti detrattori di Herrera avevano rialzato il capo, disgustandolo assai. La situazione in Spagna era critica e l'Inter di Moratti offriva uno stipendio che nessun tecnico al mondo aveva mai ottenuto. Herrera ha piantato baracca e Barcellona venendo di corsa a Milano. Era già H.H. in gran parte del mondo: era già stato chiamato mago in Francia ed in Spagna.
In Italia ha definitivamente sfondato.
(...)

Gli ex operai e contadini che compongono l'Inter guadagnano somme da annichilire al confronto qualsiasi intellettuale o scienziato. Herrera ha ingaggio e premi doppi rispetto a loro. Li tiene in pugno come un domatore di belve.

Ed essi odiano in lui il proprio destino di muscolari condannati a vincere sempre. Lo temono come il ricordo della propria miseria. Nessuno, che io sappia, lo ama. E lui, H.H., s’en fout pas mal di non essere amato.
(dal libro «Herrera», edito da Longanesi,1966)

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