«Hai già casa? Niente alloggio popolare» Ma la legge non vale per gli immigrati...

«Hai già casa? Niente alloggio popolare» Ma la legge non vale per gli immigrati...

(...) i quali, pur possedendo un rudere dall’altra parte d’Italia, rischiano di perdere il diritto alla casa popolare. Alessandro, Angiolina, Valentina, infatti, non possiedono appartamenti, fonti sicure di guadagno, ma ruderi e case ipotecate che non riescono o non possono vendere, e che però fanno «reddito».
Loro sì, non gli stranieri. L’articolo 18 infatti sembra essersi dimenticato di loro: agli immigrati che vivono nelle case popolari non viene calcolata ai fini del reddito la proprietà nel proprio Paese, che sia un rudere, una villa o un albergo. «Questa legge discrimina gli italiani a favore degli immigrati - è il commento di Carmela Rozza, consigliere comunale del Pd. La legge va modificata: o si calcolano le proprietà di tutti, cioè sia in Italia che all’estero, o di nessuno. Inoltre è cosa nota che gli immigrati che lavorano e vivono nelle case popolari, usano i loro guadagni per costruirsi o comprare case nei loro Paesi».
La successiva legge regionale 27 del 2007 all’articolo 3 collega il canone alla situazione economica Isee/Erp che include il calcolo delle proprietà. La legge 36 del 2008 ha modificato quella del 2004: se si possiede un immobile in Italia non si perde automaticamente il diritto alla casa: a seconda dei casi viene aumentato l’affitto, oppure viene rifiutata la domanda.
E poi ci sono i casi sfortunati, rimasti intrappolati tra le parole dell’articolo 18, tra un punto e una virgola. Le vittime, diciamo. Qualche giorno fa Angiolina si è vista triplicare l’affitto del suo alloggio popolare, per una casa in comproprietà con il marito a Ispra (Va). Peccato che la parte del marito sia ipotecata per debiti e che lui stesso sia scomparso in Spagna. La signora quindi, non usufruisce della casa, non può venderla né divorziare. Oltre al danno, la beffa... Angiolina senza lavoro, con una pensione sociale di 300 euro, dovrà pagare 600 euro al mese. Fino ad ora ha condiviso l’appartamento con la figlia, che mantiene entrambe: «Non so come fare... Quando mia figlia si sposerà non avrò più che vivere. E dire che dovrei pagare anche gli arretrati dell’affitto aumentato. Quella casa neanche mi appartiene, mentre nel palazzo è pieno di stranieri che hanno nei loro paesi fior di case».
Molto simile la storia di Alessandro, 40 anni, anche lui inquilino per una vita di una casa del Comune, che condivideva con il padre. A luglio, con lo sfratto, il genitore ha fatto domanda per un alloggio, che è stata respinta perché possiede una casetta in Emilia. Anche Alessandro, disoccupato presenta la richiesta, ma da 24esimo in graduatoria diventa 4millesimo. Sempre per quella «maledetta» casa, che alla famiglia non rende nulla. Peccato che lui sia disoccupato da 13 mesi e senza tetto. «Facevo il cameraman, ma 13 mesi fa l’azienda ha fallito. Come vivo? Con i soldi che mi prestano gli amici. Dormo a casa loro, in macchina, dove capita».
Stessa storia per i fratelli, di cui un disabile al 100%, che abitano in una casa in affitto da 50mq. La signora Valentina è costretta a dormire in cucina, mentre i fratelli dividono da 40 anni la stessa stanza.

La loro domanda di alloggio è stata respinta per via di un piccolo bilocale in montagna, in provincia di Genova. «Quella casa non ha il riscaldamento, non ci possiamo trasferire perché mio fratello fa avanti e indietro dall’ospedale. Nessuno la vuole in affitto e nessuno la comprerebbe mai».

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