Hamas deluso, la nave libica va in Egitto

Nonostante le insistenze dell'ex premier integralista Haniyeh, la "Amalthea", giunta a poche miglia da Gaza, rinuncia a forzare il blocco. Incursori israeliani pronti a intervenire ma un nuovo arrembaggio pare escluso

Gaza è ad un tiro di schioppo, ma gli unici a sperare in una nuova puntata di sangue, sparatorie e arrembaggi son quelli di Hamas. Da ieri mattina radio e televisioni della Striscia diffondono i proclami del leader fondamentalista Ismail Haniyeh che esorta la fondazione libica guidata dal figlio di Gheddafi Seif Al Islam a portare alle estreme conseguenze la sfida con Israele e puntare su Gaza il timone del cargo Amalthea. «I convogli devono continuare, le nazioni islamiche devono aiutarci a metter fine al blocco», ripete l’ex primo ministro di Hamas. Fuori da Gaza non ci crede nessuno. Antonio - l’ufficiale cubano al comando del cargo con bandiera moldava sponsorizzato dai libici - ha già fatto capire, sostengono i portavoce militari israeliani, di non aver intenzione di rischiar la pellaccia e di esser pronto a deviare verso il porto egiziano di El Arish. Anche le dichiarazioni di Youssef Sawani, portavoce della fondazione organizzatrice della spedizione, non sembravano far temere una ripetizione dell’arrembaggio del 30 maggio costato la vita - dopo duri scontri con gli incursori israeliani - a nove militanti turchi. E così ieri sera si è arrivati al logico epilogo, con l’ingresso della Amalthea nel porto di El Arish.
«Innanzitutto e prima d’ogni altra cosa vogliamo arrivare a Gaza - ripeteva Sawani ad Al Jazeera - ma se sarà impossibile non faremo correre rischi a nessuno». Come dire: se gli israeliani ci fanno passare bene, altrimenti tanti saluti. Più la meta s’avvicina dunque più le duemila e passa tonnellate di aiuti in cibo e medicinali pagate dalla fondazione del figlio di Gheddafi sembran destinate a sbarcare in Egitto per poi arrivare a destinazione finale attraverso il valico di Rafah. I libici non hanno, del resto, nessuna intenzione di far guerra a Israele. A papà Gheddafi e al figlio, basta la soddisfazione di tenere il mondo con il fiato sospeso mentre un convoglio con la bandiera di famiglia simula una sfida al «nemico sionista» e suona la grancassa della solidarietà con i «fratelli» della Striscia. Per il resto Gaza o Egitto che sia poco importa. Al governo israeliano di Bibì Netanyahu - uscito politicamente distrutto dalla querelle internazionale seguita all’uccisione dei nove militanti turchi - va benissimo risolvere la questione nella maniera più tranquilla possibile. Non a caso il governo Netanyahu ha accettato di buon grado la mediazione di Martin Schlaff, uno spregiudicato uomo d’affari austriaco di religione ebraica famoso per gli ottimi rapporti intrattenuti sia con il leader libico Muhammar Gheddafi, sia con il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann.
Così mentre ieri pomeriggio il cargo navigava a 25 chilometri dalle coste egiziane di El Arish, una serie di telefonate sul triangolo Gerusalemme-Tripoli-Vienna metteva a punto i dettagli per una soluzione concordata della questione. Il rischio di un’improvvisa involuzione è però sempre presente e le motovedette israeliane cariche di incursori mantengono il massimo stato d’allerta. L’eventualità peggiore resta quella di un ammutinamento dei 9 «volontari» filo palestinesi imbarcati sull’Amalthea, seguito da un tentativo di forzare il blocco.

Visto il rigido controllo imposto dalla fondazione libica l’ipotesi sembra aleatoria, ma gli israeliani tengono alta la guardia. «Per ora non ci aspettiamo resistenza - ripetevano ieri i portavoce militari - ma se dovesse succedere non esiteremo a intervenire».

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