Da Hammamet al teatro, storia del «signor X»

È finalmente arrivata l’ora di X. Il «di» tra «ora» e «X» non è un refuso: stiamo parlando del signor X, il protagonista di «Una notte in Tunisia», la pièce di Vitaliano Trevisan che debutterà al Franco Parenti martedì 29 marzo. Annunciato a sorpresa lo scorso autunno, atteso dalla scena teatrale milanese con curiosità mista ad acredine, ieri mattina lo spettacolo è stato presentato alla stampa dalla regista, Andrée Ruth Shammàh, e dall’interprete principale, Alessandro Haber, con il prevedibile contorno di polemiche. Il signor X in questione infatti non è un uomo qualunque: è un politico che ha quella lettera così fastidiosa incastonata nel cognome, che si è autoesiliato ad Hammamet e che sta per morire. Si, «Una notte in Tunisia» parla proprio di lui, di Bettino Craxi. Però no, non parla solo di lui. Parla anche dello squallore che è connaturato al potere, ma forse soprattutto del tradimento, dell’angoscia, della solitudine: di tutti gli effetti collaterali che scaturiscono dalla perdita del potere.
Andrée Ruth Shammàh ha conosciuto di persona Craxi. «Però in questi mesi di lavoro ho superato la vicenda sentimentale, il coinvolgimento personale e mi sono concentrata sul fatto teatrale», afferma la regista. «In realtà volevo storicizzare quel presente, volevo allontanarlo, renderlo classico». A questo scopo, la scenografia evoca una condizione fuori dal tempo attraverso due massicce colonne che sorreggono un ampio arco. Sullo sfondo, una tela bianca fa da supporto alle proiezioni di immagini di cielo e mare realizzate da Piero Guccione. «Scegliendo di mettere in scena questo spettacolo, non mi sono data la missione di riabilitare un grande personaggio politico», ha subito chiarito la Shammàh. Eppure alla conferenza stampa, com’era già accaduto in autunno, è scoppiata la polemica sulla non metaforicità del testo, sul suo essere comunque ispirato a Route el Fawar, il libro-testimonianza di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi, sulle sue inevitabili ricadute politiche. Davvero inevitabili? «Io non ne sono affatto convinto», risponde Alessandro Haber. «Sennò non mi sarei fatto coinvolgere in questa impresa: io sono comunista!». Di fatto però il mondo teatrale italiano guarda con sospetto a questo spettacolo.

«Un anno e mezzo fa, quando ci è venuto in mente di lavorare sul testo di Trevisan, di ipotizzarne una messa in scena, abbiamo cercato di instaurare collaborazioni con altri palcoscenici della penisola per condividerne la produzione» chiosa la Shammàh. «Stiamo ancora cercando, ma finora non ne abbiamo trovato neppure uno che si sia dichiarato interessato a farlo».

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