da Milano
Lui che le ha provate proprio tutte (ha suonato Mozart e lavorato con Miles Davis, inciso classici del rock -jazz come Headhunters e accompagnato la nostra Giorgia) le chiama «affinità elettive», quelle sensazioni che lo fanno schizzar via dai territori del jazz per avvicinarsi ai più disparati territori di confine. Herbie Hancock è un divoratore di suoni che non poteva sfuggire alle malìe di una donna «malata di libertà» come Joni Mitchell. Così, mentre la cantautrice canadese risorge con lalbum Shine, Hancock indossa labito da arrangiatore e con la sua bacchetta magica riveste di raffinate atmosfere i classici di Joni in River: the Joni Letters. Per loccasione riporta in sala dincisione persino Tina Turner, da tempo fuori dalle scene, coinvolge Leonard Cohen e la rivelazione Corinne Bailey Rae e si fa accopagnare da star del jazz come Wayne Shorter e Dave Holland. «Mi sento come un sarto che cuce insieme una serie di melodie perfette - ridacchia Hancock - per viverle secondo una prospettiva inedita. Le canzoni di Joni Mitchell sono piccoli capolavori sia musicalmente che dal punto di vista umano».
Cosa la lega alla Mitchell?
«La versatilità, la voglia di cercare sempre nuove strade, di essere libera nellanima e nella voglia di esplorare. È divertente pensare che io sono un jazzman ma ho cominciato con la musica classica, Mozart e Bach, lei è una cantautrice ma è partita dal jazz, me lha raccontato lei. Soprattutto è una poetessa, poi è passata al folk perché era il linguaggio più semplice per veicolare la sua poesia».
Lei ha arrangiato e rifatto centinaia di pezzi altrui, perché laffascina Joni Mitchell?
«È lultima donna del Rinascimento e volevo rendere giustizia alle sue canzoni. Per le nuove musiche di brani come River, Court & Spark, Both Sides Now sono partito dalle parole. Un procedimento nuovo per me. Ho dato una copia del testo a tutti i musicisti, e da quelle liriche siamo partiti per trasformare i significati, i luoghi, i personaggi in suoni-immagini. È stato come girare un film: la chiamerei musica cinematografica».
Si sono le voci di Leonard Cohen, Tina Turner, Corinne Bailey Rae...
«Tutti grandi fan di Joni. Il disco è nato in poco tempo, ma non è stato semplice trovarsi tutti insieme. Norah Jones è lunica a essere venuta in studio con tutta la band; la sua voce morbida è fantastica. Tina Turner lho raggiunta in Svizzera e lho convinta subito. Il suo canto potente e ferino crea un magnifico contrasto con la voce cristallina di Joni. Così ho coperto tutte le sfumature, le mille nuances dei brani di Joni. Cohen lho beccato a Los Angeles, è anche lui un vero poeta di strada e Corinne è la giovane entusiasta del gruppo».
In The Tea Leaf Prophecy è riuscito a coinvolgere la stessa Joni.
«Ha capito subito lo spirito del progetto e ha scelto una canzone che le è particolarmente cara perché è autobiografica, racconta la storia della sua famiglia durante la Seconda Guerra mondiale. Abbiamo accentuato i toni gospel ed è veramente splendida, mi permetto di dirlo. Un ottimo incrocio tra presente e passato, tra suoni neri e bianchi».
Dovendolo proprio definire è uno splendido album jazz.
«Io direi una fusione di atmosfere, suggestioni e poesia. Certo la base jazz è assicurata da stelle come Wayne Shorter e Dave Holland».
Lo porterà in tournée?
«La prossima estate vorremo girare lEuropa, ma tutti siamo pieni di impegni. Shorter non ci sarà perché sta lavorando con unorchestra sinfonica e preparando un lavoro per quintetto. Holland invece sarà dei nostri, ma dobbiamo vedere che succede coi cantanti».
Qualcuno critica questi suoi passaggi da un genere allaltro: lei che è un pioniere del jazz rock.
«Sono un musicista dalla mente aperta. Lho imparato da Miles Davis, uno che sapeva prendere il meglio da ogni genere e stile. È stato lui ad abbattere ogni barriera, e per molti versi non è stato capito. Il difetto dei puristi, di ogni genere, è quello di viaggiare con il paraocchi perdendo per strada tante cose di valore.
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