«Hanno ucciso mio marito e io pago le spese»

Sono la vedova di Giovanni Paracchini, una delle tre vittime trucidate da Angelo Sacco nella cosiddetta «strage di Bogogno» avvenuta il 27 giugno 2005. Sfogo tutta la mia amarezza in quanto, a quasi due anni dal quel tragico evento che ha sconvolto la mia vita e quella della mia bambina, non ho avuto il piacere di ricevere alcun tipo di conforto morale, e tanto meno economico, da alcun organo istituzionale.
Ho proprio la sensazione, o meglio dire certezza, che io e mia figlia siamo state completamente dimenticate. Come si può immaginare è molto difficile per me, in questo momento, rompere il silenzio e scrivere queste righe. Come potrò mai raccontare la vita che avevamo e che è stata bruscamente e violentemente interrotta, le attese, le speranze, le promesse della nostra giovane famiglia, la gioia di vedere crescere la nostra bimba... e nelle stesso tempo l'angoscia e lo strazio della morte violenta e apparentemente senza senso di mio marito, crivellato di colpi per essersi fermato a cercare di soccorrere le persone già ferite durante quella che è ormai diventata tragicamente famosa come la strage di Bogogno?
Ma a questo punto non posso più tacere, per un senso di giustizia nei confronti della memoria di mio marito e di tutti coloro che, innocenti, sono stati, e purtroppo saranno, coinvolti in analoghe vicende, e per un senso di responsabilità nei confronti di mia figlia, che oggi non ha ancora sei anni. Desidero raccontare la cruda realtà che da allora mi trovo a vivere e che potrebbe, questa sì, facilmente essere diversa e che lascia in bocca il sapore amaro dell’ingiustizia.
L'assassino, Angelo Sacco, ha innescato la strage reagendo violentemente all'avvicinarsi del geometra incaricato di compiere una perizia sull'appartamento di sua proprietà che era stato pignorato per far fronte ad una grave situazione debitoria. Da qui la strage in cui morirono lo stesso geometra, un appuntato dei carabinieri accorso sul luogo del delitto e mio marito, Giovanni Paracchini, fermatosi per prestare soccorso ai feriti. Il processo ha condannato Sacco all'ergastolo e ha stabilito un risarcimento a favore dei familiari delle vittime.
Che cos'è un risarcimento in denaro di fronte ad una vita spezzata? Nulla, ma ci sono degli orfani che devono crescere, andare avanti, onorare il ricordo dei loro padri. Sacco, tuttavia, non ha più nulla dato che l'appartamento «della morte» e altri beni sono stati venduti all'asta e la cifra ricavata è andata, per la maggior parte, alla Banca che vantava il credito. Sacco, dunque, non è nelle condizioni di risarcire le famiglie a cui ha spezzato la vita; la famiglia di Sacco non ha responsabilità giuridiche, trattandosi di persona ampiamente maggiorenne, e non si pone responsabilità morali... e lo Stato, le Istituzioni dove sono? A che serve essere cittadini italiani, contribuenti italiani, se in un caso del genere si è meno tutelati di un assassino? A nostro carico sono rimaste anche le spese processuali; del processo di primo grado e di quello di appello, voluto dal colpevole e che ci ha dolorosamente costretto a rivivere momento per momento l'angoscia di quel giorno.

E questo non è forse continuare a subire una violenza?
Oggi, nell'era dello Stato assistenziale, della società evoluta, della multiculturalità, io e mia figlia siamo sole di fronte non dico al nostro dolore che ha avuto la consolazione dell'amicizia e dell'affetto di tante persone care, ma di fronte ad un sistema per il quale non esistiamo e che si ricorda di noi solo per richiederci le spese processuali.
Questa è giustizia? Questa è tutela dei diritti della persona?

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