Cultura e Spettacoli

Heidi e Goldrake: trent’anni fa lo sbarco dal Giappone

Nel 1978 furono le prime serie di animazione importate dal Sol Levante che fecero impazzire i bambini. Contro Ufo robot ci fu pure un’interpellanza parlamentare

Heidi e Goldrake: trent’anni fa lo sbarco dal Giappone

Milano - Una bambina e un robot, le caprette e le armature spaziali, il silenzio della montagna e il clangore della battaglia. Non si possono immaginare due personaggi e due storie così agli antipodi, eppure Heidi e Goldrake hanno più d'una cosa in comune: trent'anni fa, insieme - come nelle migliori tradizioni della letteratura e del cinema per l'infanzia - la piccola montanara dalle gote rosse e il colosso di metallo alieno pesante 280 tonnellate conquistarono la fantasia dei bambini e delle bambine italiane.

Siamo nel 1978 e il 4 aprile, con crescente apprensione da parte dei genitori e persino di un senatore comunista, compaiono su Raidue gli scontri mortali tra il buon Actarus e le flotte di Vega, mentre risuona la sigla sincopata: «Ufo Robot, Ufo Robot». Appena due mesi prima, il 7 febbraio su Raiuno, all'ora della merenda erano riecheggiati gli jodel e la vocina infantile della piccola montanara inventata dalla svizzera Johanna Spyri. Sono i primi cartoni animati giapponesi a fare irruzione nei nostri palinsesti: il successo è incredibile. «Ufo Robot fece guadagnare alla Rai oltre un miliardo di lire con la vendita dei soli gadget, dai pupazzi ai dischi. Un risultato inaudito», racconta Paola De Benedetti, per quarant'anni colonna portante della Tv dei ragazzi in Rai. «All'epoca, la produzione di cartoni animati era limitata, la Disney - continua l'ex dirigente Rai - prediligeva i lungometraggi per il cinema e l'Europa dell'est, dalla Cecoslovacchia all'Ungheria, si dedicava a produzioni raffinate. Con Heidi e Ufo Robot l'Italia conobbe la lunga serialità industriale di cui gli orientali si facevano promotori, solo Goldrake contava più di 70 episodi. E nacque il merchandising». Come dimenticare quanto erano famose quelle sigle? Il maestro Vince Tempera, orchestrando endecasillabi come «mangia libri di cibernetica e insalate di matematica», dichiara di non aver mai guadagnato tanto. E i ritornelli di Heidi entrano persino nella hit parade dei 45 giri, fatto mai accaduto prima, arrivando a vendere oltre un milione e mezzo di copie, anche grazie alla voce argentina della cantante Elisabetta Viviani.

Anche i gusti dei piccoli telespettatori si trasformano inesorabilmente. I bambini italiani, svezzati con le gag dei paperi antropomorfi della Disney e dei cavernicoli di Hanna & Barbera, si abituano a crescere insieme ai personaggi. Più di una generazione si affeziona in un baleno a Heidi, trasmessa a più riprese dalla rete democristiana. È una bambina che crede nei sentimenti e nella bontà; attorno a sé non ha cattivi, ma solo persone un po' incomprese e fragili. «Heidi era nata dalla penna di una scrittrice svizzera. La serie fu co-prodotta da una società di Monaco che fece disegnare i cartoni in Giappone per sfruttare la tecnica della lunga serialità e la manodopera a basso costo», racconta la De Benedetti. Il cartone (ora in onda la mattina alle 7.20 su Italia 1), parla di un'orfana affidata alle cure del burbero e taciturno nonno, che vive in una malga di alta montagna. Insieme con lui, Heidi è felice. È come se la natura stessa si prendesse cura di lei, tenendola d'occhio mentre scorrazza a piedi nudi per i pascoli assieme alle sue caprette. Finché una zia non la reclama per portarla a Francoforte, dove la piccola dovrà fare da damigella di compagnia a una bambina disabile e gentile, Clara. Ma Heidi, abituata all'aria pura delle vette, in quella casa ricca e austera governata dall'inflessibile signorina Rottermeier, si ritrova «come un pesciolino che dall'acqua se ne va, un uccellino in gabbia che di noia morirà», canta la sigla.

Dall'altra parte, sulla rete più moderna e socialista, la natura è ridotta a un campo di battaglia per le mazzate titaniche dei primi robot apparsi in video. Il bell'Actarus, dai lunghi capelli, è un alieno che combatte per difendere la Terra dagli attacchi del Re Vega. Manovra un gigantesco robot, Goldrake, alto 30 metri, capace di correre a 700 km l'ora, equipaggiato con le sensazionali Lame rotanti, la risolutiva Alabarda spaziale e il temuto Doppio maglio perforante.
Oggi queste armi fanno sorridere sin dal nome, ma allora parecchi genitori rimasero impressionati e vietarono la Tv ai bambini: «Non a caso - ricorda la De Benedetti - Ufo Robot veniva trasmesso sulla rete “alternativa” e nella fascia preserale, non destinata ai piccoli». Non bastò a placare gli animi perché un senatore leader della sinistra comunista, Silverio Corvisieri, presentò un'interpellanza parlamentare per cancellare dai palinsesti il gigante guerriero. Ma non ebbe soddisfazione, anzi. Gli indici d'ascolto della Rai - aggiunge ancora la De Benedetti - continuarono a salire alle stelle e l'Italia divenne il maggiore acquirente occidentale di cartoni giapponesi. A Ufo Robot presto vennero a dare man forte Mazinga Zeta, l'affascinate pirata spaziale Capitan Harlock e la coraggiosa Lady Oscar.

Insomma, i creatori di «anime», come si chiamano i cartoni animati del Sol Levante, hanno tenuto la posizione e hanno preparato il terreno agli invincibili combattenti di Dragon Ball, ai Pokémon e a tutti quei personaggi che oggi nascono già per diventare fenomeni, per vivacizzare le cartelle di scuola e, perché no?, sbarcare sul grande schermo.

Commenti