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Heineken sorprende tutti e si beve la birra messicana

A soli due anni dall’acquisizione di Scottish & Newcastle per 10,2 miliardi di euro, il gruppo Heineken, primo produttore europeo di birra, ha messo a segno un’altra operazione miliardaria, acquisendo la principale birreria messicana, Femsa, nota nel centro e Sud America per i marchi Dos Equis, Tecate e Sol. Il controvalore pattuito è di 7,6 miliardi di dollari (in euro, 5,3), compresi 2,1 miliardi di debito netto e di oneri pensionistici; ma non c’è esborso di denaro, perché l’operazione avviene con scambio azionario, carta contro carta. Gli azionisti di Fomento economico mexicano (il più grande gruppo di bevande dell’America latina, che fabbrica anche prodotti come Coca Cola, che comunque rimangono estranei all’operazione annunciata ieri) avranno l’equivalente del 20% del gruppo olandese, ovvero il 12,5% della società operativa Heineken e il 14,9% di Heineken holding, la controllante.
La notizia ha colto di sorpresa i mercati e gli analisti, che davano per imminente la cessione di Femsa, ma non agli olandesi, bensì ai sudafricani di SabMiller. Il prezzo e le modalità dell’acquisizione sono apparsi convenienti (grazie anche al cambio favorevole euro-dollaro), tant’è che in Borsa, ad Amsterdam, il prezzo del titolo Heineken ha guadagnato il 3%, trascinando anche Carlsberg (più 2,1%); al contrario, sulle rispettive piazze, la respinta SabMiller ha perso il 2,3% e l’acquisita Femsa è crollata del 10% circa.
Pur trattandosi di un’operazione miliardaria, quella odierna è ben lontana dal record del novembre 2008, quando il colosso belga Inbev acquistò la statunitense Anheuser-Busch per 41 miliardi di euro. E infatti la classifica mondiale dei produttori di birra non cambia, né per fatturato né per volumi: in termini di ricavi, Inbev resta saldamente prima seguita da Heineken, che aggiungendo al suo (14,3 miliardi) il fatturato di Femsa (2,4) è a quota 16,7 miliardi di euro; quanto ai volumi, prima è nuovamente Inbev, seconda è SabMiller (che è terza per giro d’affari), Heineken più Femsa resta terza con 203 milioni di ettolitri.
L’operazione annunciata ieri ha importanti motivazioni sia sotto il profilo finanziario che sotto quello industriale. La holding olandese ha previsto sinergie per 150 milioni di euro annui entro il 2013, e ha indicato che l’operazione inizierà a dare i primi profitti entro due anni (Heineken emetterà 86 milioni di nuovi titoli riservati a Femsa). Da un punto di vista strategico, le due realtà si integrano perfettamente, e Heineken acquisisce posizioni di rilievo sia in Messico, dove i marchi di Femsa possiedono il 43% del mercato, sia in Brasile, dove hanno il 9%, più gli importanti flussi di esportazioni verso gli Stati Uniti. Va anche osservato che i mercati latinoamericani sono quelli da cui sono attesi i maggiori incrementi di vendite nei prossimi anni.
Heineken, va ricordato, è oggi il primo produttore di birra in Italia, dove possiede 28 marchi, tra i quali Heineken, la friulana Birra Moretti, la triestina Dreher e la sarda Ichnusa. La quota di mercato del gruppo nel nostro Paese è del 31 per cento.
Il mercato mondiale della birra continua dunque a procedere sulla via delle concentrazioni, secondo le logiche dei prodotti di larghissimo consumo. Quello che contano sono soprattutto i posizionamenti geografici e i marchi. Le cifre stratosferiche che sostengono le acquisizioni «pagano» proprio questo. I grandi gruppi sono, in realtà, dei raggruppamenti di marchi. Poi, com’è logico, solo una quota relativamente modesta di prodotto viene fisicamente esportata, e si tratta di quella a maggior valore aggiunto, per la quale la percezione del cliente è tale da giustificare un prezzo più elevato; tutto il resto si produce localmente, nelle varie parti del mondo, allo scopo di ridurre i costi di distribuzione.


Se i primi quattro gruppi mondiali controllano circa la metà della produzione, questo significa che spazio per la concentrazione ce n’è ancora molto; di birrerie medio-grandi tuttora «libere» ce ne sono ancora e le birre «industriali» nel mondo sono circa 20mila (più un numero imprecisato ed enorme di produttori artigianali).

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