Un quarto di secolo fa, il 16 luglio 1985, moriva a Langenbroich, in Germania, lo scrittore Heinrich Böll.
Considerato uno dei massimi esponenti della cultura tedesca della seconda metà del Novecento e insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 1972, Böll era nato a Colonia nel 1917, da una famiglia cattolica. E proprio il cattolicesimo, nei confronti del quale nutrì sempre un sentimento di repulsione anticlericale, è il filo conduttore del lavoro dell'autore tedesco insieme alla rielaborazione (spesso ipocrita) del nazismo e dell'Olocausto nella Germania postbellica e soprattutto alla ricostruzione (da cui la definizione di «Trümmerliteratur», letteratura delle macerie).
Disgustato dalla spietatezza del neocapitalismo e dal vuoto consumismo degli anni Sessanta, con una satira sempre più feroce e dissacrante, Böll ha fustigato i nuovi costumi tedeschi in quello che è ritenuto una delle sue prove migliori: «Opinioni di un Clown» (1963). Storia di un pagliaccio fallito che rilegge la propria vita senza il filtro delle ipocrisie nel quale è cresciuto.
Impegnato nel movimento per la pace e contro il riarmo atomico, sostenitore dei dissidenti russi, si ritrovò al centro di una feroce polemica negli anni di piombo. Scrisse un saggio sulla terrorista Ulrike Meinhof e nel 1972 fece riferimento alla necessità della presunzione di innocenza fino a prova contraria per i presunti componenti della Raf.
Heinrich Böll, un «clown» contro il perbenismo
Venticinque anni fa moriva il grande scrittore tedesco, Premio Nobel per la Letteratura nel 1972. La sua opera un atto d'accusa dissacrante contro l'avidità neocapitalista e il consumismo degli anni Sessanta
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